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Quasi sempre sono le situazioni più normali, quotidiane, direi oscenamente banali a cambiare un giorno, un’ora o una settimana.
Non pretendo di parlare del cambiamento di una vita, quello che d’improvviso ti fa svoltare, l’illuminazione, la visione di un mondo diverso, o più solitamente, la visione di molti soldi da spendere. Parlo di quei piccoli attimi, momenti quotidiani o che dovrebbero essere tali, ma che per qualche oscuro motivo noi viviamo in una maniera talmente potente che ci scava a lungo dentro, fino a che in alcuni casi estremamente malaugurati, arriviamo a scoprire le strutture nascoste che ci permettono di tenere come sotto una maschera, il nostro essere profondo, sia esso codardo, coraggioso, benpensante, patetico o brillante.
Anche in una situazione che a prima vista appare banale, poco eccitante, può capitare qualcosa che potremmo definire imprevisto, ma che è semplicemente una delle possibilità che ci vengono offerte ogni giorno se solo riuscissimo a guardare meglio e con più convinzione agli attimi che compongono le nostre ore.
In quel momento sta a noi comprendere se quell’istante, come molti altri di una lunga giornata fatta di anni che confluiscono in quell’unico attimo messo in quel punto dello spazio, vada preso e conservato per poterlo rimirare meglio e comprendere e utilizzare in futuro come bussola o lasciato andare nell’oblio.
I casi, le fortune, i secondi e gli attimi si possono presentare in forme sempre più diverse, ma noi che abbiamo dei sensi ben precisi che funzionano in maniera non propriamente imprevedibile, se non per pochi particolari noti solo ad alcuni sofisti dediti alla descrizione complessa di fenomeni che naturalmente sono estremamente semplici e logicissimi, tendiamo a ricordare e catalogare come eventi eccezionali solo quelli che rientrano nelle nostre sfere di competenza e che quindi sappiamo riconoscere come tali.
Può essere ad esempio come un corpo sia esso maschile o femminile si manifesti nella sua interezza senza nessun fraintendimento o in maniera un po’ nascosta, non molto, e in quel modo determini un cambiamento in tutte le persone che con quel corpo hanno a che fare.
Quindi compagne o compagni o semplici occasionali conoscenti, che non hanno visto e che non sanno, ne restano influenzate allo stesso modo di compagni che partecipano in prima persona al disvelamento.
Per il caso specifico che vado a raccontare, il fatto in se stesso inizia si sviluppa e finisce in maniera così semplice che quasi se fosse solo questo il mio racconto risulterebbe alquanto banale e già sentito, ma è proprio aver riconosciuto in questo una extra territorialità rispetto ai giorni che passano, al fatto di aver compreso che nulla in quell’incedere poteva essere dimenticato e catalogato fra i ricordi a perdere di almeno una delle persone coinvolte, a fare di esso stesso un fatto eccezionale.
Quell’anno ero in vacanza con mia moglie e una coppia di amici, un appartamento da dividere in quattro, per quanto affiatati e pazienti gli uni con gli altri non eravamo propriamente liberi di fare ciò che avremmo voluto, ma effettivamente non lo siamo quasi mai veramente. Una vacanza insomma abbastanza standard senza i picchi che ti aspetti da quella settimana tanto sognata durante l’anno di lavoro.
Quel pomeriggio eravamo appena rientrati dalla spiaggia e mi trovavo per ultimo ad andare in bagno per un naturale bisogno prima di uscire nuovamente per cercare un localino lungo il mare dove cenare.
Il luogo dove avevamo trovato alloggio, era una casa all’inizio di un paese che ancora non aveva vissuto l’espansione urbanistica di altre zone limitrofe e conservava una parvenza di genuinità che in quei luoghi non aveva nulla di artistico ma consisteva nel mantenere ancora intatto l’odore della povertà da poco lasciata. Simile in ogni caso a molte altre cittadine di mare della costa italiana, posticce, pronte ad essere disabitate, quelle che d’inverno ti immagini vuote e piene di una patina di salmastro da eliminare e ridipingere alla belle e meglio con l’arrivo della buona stagione.
Questa casa insomma aveva delle finestrelle abbastanza malmesse chiuse da dei balconcini a listelli.
Il caldo soffocante non dava tregua e quando si chiudeva la porta del bagno, eliminando quel poco di refrigerio che arrivava dal condizionatore, bisognava per forza di cose aprire uno sbocco all’aria, per quanto questo rendesse completamente aperta alla visione degli altri appartamenti la stanza da bagno.
Si affacciava infatti su di un cortile interno, protetta in basso da una pergola di kiwi molto fitta che creava quasi un tappeto arboreo, ma sopra non aveva nulla a proteggere dal muro di fronte dove si aprivano due finestre, una più alta , che veramente non ho mai visto aperta finché sono rimasto in quel luogo e una più bassa, quasi si trovasse su un mezzanino rispetto alla mia posizione.
Alzandomi e allacciandomi il bottone dei pantaloni dopo essermi liberato, guardo fuori, senza nessun intento secondario, con noncuranza, leggermente nascosto dal balcone e mi accorgo che la finestra di fronte è aperta.
Chiunque al mio posto, credendosi protetto dai listelli che in qualche modo mi nascondevano alla vista, avrebbe quantomeno dato un occhio a che stanza si trovava dietro quella piccola finestra. Così mi misi a guardare e capii che si trattava di un semplice bagno, fotocopia di quello in cui mi trovavo.
L’hanno aperta per arieggiare, penso fra me e me, così faccio anche io e apro un po’ di più la mia finestra per lasciare entrare un minimo di aria.
Guardo in basso per infilare per bene il bottone dei pantaloni e quando rialzo la testa i miei occhi percepiscono lateralmente un movimento che prima non c’era.
Attraverso la finestra vedo che nell’altra stanza c’è una donna, è messa di lato e sta guardando dove immagino trovarsi lo specchio, dal vapore che il suo corpo emana per un brevissimo lasso di tempo, come se la sua pelle creasse l’umidità che non mi fa respirare e che tormenta assieme al caldo queste mie giornate, credo sia appena uscita dalla doccia ed ora si sta osservando con quel misto di curiosità e critica che tutti noi abbiamo quando ci guardiamo, nudi, in uno specchio.
Io non riesco a staccare lo sguardo, rimango immobile ad osservare quel seno che vista la distanza intravedo e immagino sodo.
Dalle movenze e da come i suoi muscoli fanno muovere le braccia, le gambe, il bacino per attimi inconsistenti e luminosi, di cui ti rendi conto dopo, nel ricordo, non c’è tensione in lei, sembra che sia a proprio agio e si limita ad osservare l’insieme, come da lontano.
Soddisfatta di ciò che ha visto riprende, la osservo che si asciuga molto frettolosamente, passando veloce l’asciugamano di spugna lungo la pelle.
Normalmente non mi metto a spiare gli altri nelle loro case, ma sarà stato il luogo la situazione il caldo, non riuscivo a staccare gli occhi da quella donna.
Lei faceva solo cose normali, tipo guardarsi allo specchio, passare la mano tra i capelli, accarezzare il corpo nudo, magari per strofinarsi un olio o una crema. Ma mi sembrava di scorgere una qualità in quello che faceva che non saprei descrivere se non con parole desuete e abusate di canzoni sentimentali.
Vista anche la distanza immaginavo più che vedere, più guardavo quel corpo e più mi sembrava di conoscerlo, di partecipare di quella visione da sempre, comprendevo senza averle veramente viste, le pieghe che la pelle fa quando i muscoli creano tensione, sentivo l’effetto della gravità a sottolineare curve, direzione, complessità e possibilità di gioco.
Comprendevo anche che in quel momento lei era veramente se stessa, non c’era nessun ostacolo tra ciò che era e ciò che avrebbe potuto fare.
Io rimanevo lì, con il bottone che non voleva saperne di entrare, l’acqua da tirare e tutto quanto, immobile per paura che lei se ne accorgesse.
La mia mente era divisa esattamente in due, mi sarei dovuto girare, uscire da quella stanza e raggiungere mia moglie e gli amici che mi stavano aspettando, avrei dovuto almeno chiudere la finestra per non farmi riconoscere ma volevo in una maniera che rasentava quasi la pazzia, che lei vedesse che ero lì e che quel mondo che era suo e di nessun altro, per una ragione casuale adesso compenetrava, anche se di poco, il mio mondo.
Non ne eravamo ancora consapevoli ma nulla sarebbe rimasto come prima. Nessuno di noi due, in futuro avrebbe potuto dire in che modo i vari attimi partiti da allora sarebbero cambiati e con con quale intensità. Lo sapevamo dentro di noi che sarebbe mutato tutto e non per il gioco erotico, non per la situazione e la pelle che lei mostrava scoperta ma semplicemente perché il mio mondo e il suo mondo si erano toccati senza più nessuna possibilità di cancellare questo fatto così radicale.
Rimanevo lì a guardare e la mia eccitazione saliva, ormai anche se avessi voluto scappare non ci sarei riuscito, preso tra esperienza che si avvicinava ad una mistica erotica e un’eccitazione terrena e vitale che non permetteva di muovere nulla che non fosse connesso all’oggetto del desiderio.
Fu in quell’attimo che lei si girò a guardare e mi vide lì alla finestra.
Io sentii il cuore mancare e nella mente entrarono pensieri di morte e vergogna e paura per ciò che potevo subire se fossi stato additato come guardone o peggio.
Non sono mai stato coraggioso, ho sempre cercato di fare e agire a seconda di quella che era la necessità del momento, e in quel momento gli scenari che mi si paravano davanti non erano per nulla incoraggianti. Inutile dire che tutto tornò nell’alveo della normalità più assoluta.
Che dire, avrebbe potuto gridare, avrebbe potuto, molto semplicemente chiudere la finestra o accarezzarsi oscenamente esibendo il proprio corpo.
Avrebbe potuto continuare a fare finta di nulla, continuare ad accarezzarsi e lasciare che la mia mente vagasse su di lei fino a quando l’ora o l’esigenza di non dover spiegare, mi avrebbero fatto uscire da quel bagno.
Scelse di fare l’unica cosa che avrebbe spezzato e distrutto l’atmosfera di quel momento mantenendo intatto però il contatto fra due mondi.
Mi guardò e sorrise, consapevole di ciò che stava succedendo.
Un sorriso che arrivava quasi alla risata, contenta, divertita.
Mi girai, ormai libero da paure angosce e uscii.
Uscendo ci incrociammo, noi quattro e loro due, nessuno di noi sapeva chi fossero gli altri e nessuno notò il sorriso che ci scambiammo, lei vestita di un abito rosso, non saprei nemmeno dire se lungo o corto, se scollato o casto ma abbastanza attillato per farmi ricordare le forme che avevo intravisto poco prima dalla finestra ed io in bermuda a quadri e maglietta nera da grande magazzino.
Paolo Costa – 2016
Oggi in treno l’ho riletto. Uno “scatto fotografico” dei nostri pensieri e delle nostre emozioni, semplice, chiaro,brutalmente realistico. Semplicemente vero, come credo ognuno di noi vorrebbe saperlo esprimere. Semplicemente bello!!