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Quella mattina mi avevano assegnato un percorso nuovo. Doveva essere la periferia della periferia della periferia, perché in giardino la gente ci teneva polli e maiali, anziché cani e ridicole statuine di gesso. Ero partito contento perché nella sacca c’era poca posta, e pensavo che me la sarei cavata presto e che magari, stavolta, sarei riuscito a pranzare e che non avrei preso ammonizioni dal vecchio Stone. Ma quando raggiunsi la zona mi accorsi subito che non sarebbe stato così facile. Le case erano isolate e lontane l’una dall’altra di parecchie miglia, e la strada non era nemmeno asfaltata. La notte prima era piovuto e la carreggiata era tutta buche e fango. Robe che la Grande Depressione lì non era ancora finita, ed anzi c’era davvero da deprimersi a stare in un merdaio simile. Mi avviai già stanco e scoraggiato, con l’alcool che ancora mi batteva in testa. Dovetti camminare dieci minuti buoni per raggiungere la prima casa, e non era nemmeno lungo la strada. Bisognava prendere uno stupido viottolo, ancora più infangato e dissestato della strada. Sembrava uno di quegli stramaledetti percorsi ad ostacoli che facevano fare alle reclute dell’esercito. Fortunatamente polli e anatre non erano aggressivi, e quando arrivavo alle case non c’era nessuno alla porta ad aspettare che arrivassi. In tre ore avevo fatto poco più di 20 case. Ormai ero sicuro che non sarei riuscito a pranzare nemmeno questa volta. E il mal di testa era sempre più forte. Probabilmente perché non ero abituato ad un’aria così pulita. Anche se puzzava di merda di vacca.
La borsa, comunque, ormai era quasi vuota. Presi un mazzo di lettere. Erano un bel pacchetto, tutte per lo stesso indirizzo. Beh, sembrava che ci fosse ancora qualcuno a cui piaceva scrivere i fatti suoi alla gente. Scorsi i nomi sulle buste. Mr Bennet, Mrs Bennet, Miss Jane Bennet, Miss Elizabeth Bennet, Miss Mary Bennet, Miss Catherine Bennet, Miss Lydia Bennet. Povero uomo, con tutte quelle donne in casa non riuscivo nemmeno ad immaginare come potesse resistere. Probabilmente aveva una bella scorta di whisky e birra per andare avanti. Oltre al mazzo di lettere c’era anche un pacchetto che sembrava contenere libri. Anche questa volta per raggiungere la casa bisognava percorrere una stradina che si staccava dalla principale. L’indirizzo indicato sulle lettere era Longbourn House, Meryton Village, Hertfordshire. Non ricordavo di aver mai sentito parlare di questa zona, ma se ero lì evidentemente esisteva eccome. Arrivai fino alla porta di casa. Non c’erano cassette delle lettere, ma da qualche parte dovevo pure lasciare la posta. Di certo c’era qualcuno in casa perché dalle finestre aperte al piano terra uscivano i lamenti di un povero pianoforte che veniva maltrattato da mani inesperte. Non riconoscevo la musica, ma era talmente storpiata che probabilmente non avrei mai potuto capire chi era, nemmeno se l’avessi scritta io. Da un’altra stanza arrivava la voce stridula di una donna che si stava lamentando. Decisi che era meglio appoggiare il tutto davanti alla porta, tanto non c’erano raccomandate da firmare. Bastava appoggiare sopra il pacco di libri, così le buste non sarebbero volate via. Avevo appena sistemato la posta e mi stavo allontanando dalla porta, quando questa si spalancò e la voce stridula che avevo appena sentitò mi bloccò.
«Oh Cielo, e voi, di grazia, chi siete?»
Mi guardai intorno, ero solo, per cui ci misi un po’ a capire che quel voi in realtà ero io solo. Ma come cazzo parlava la gente da quelle parti? Mi girai per tranquillizzare la donna. Era una femmina non molto alta, bella in carne, vestita con un abito lungo dai colori vivaci. Così conciata e con quella vocetta querula faceva ridere, ma mi sforzai di rimanere serio e professionale.
«Mi scusi, signora, è il servizio postale nazionale, credevo non ci fosse nessuno in casa, così vi ho lasciato la posta davanti alla porta.»
«Servizio postale? E da quando il servizio postale di Sua Maestà recapita le lettere direttamente presso le case della brava gente? L’ufficio postale non è più in funzione? Aspettate, se credete di farmela, ora chiamerò mio marito e vediamo se racconterete anche a lui questa fandonia. Mr Bennet! Mr Bennet! Presto, venite, c’è bisogno di voi!»
Dalla casa sembrava non rispondesse nessuno, forse il povero Mr Bennet era in cantina già mezzo ubriaco. L’avrei raggiunto volentieri. Dopo un po’, però, si sentirono dei passi stanchi raggiungere l’ingresso.
«Eccomi, eccomi, quale grave tragedia richiederà mai la mia urgente consulenza?»
Un uomo alto, dai modi pacati e lo sguardo ironico, si affacciò alla porta.
«Oh, Mr Bennet, voi vi prendete gioco di me e intanto ci ritroviamo alla porta truffatori che vogliono ingannarci. Venite qui, vedete quest’uomo?»
«Ahimè, lo vedo, e lo compiango per essere finito nel vostro fine setaccio.»
Mentre diceva questo mi sembrò quasi che mi facesse l’occhiolino. Il vecchio mi stava sempre più simpatico. La donna intanto continuava.
«Mr Bennet, quest’uomo dice di essere un rappresentate del servizio postale e di averci portato a casa la nostra posta! A voi risulta forse che le poste di Sua Maestà offrano un simile servizio? A me no di certo, e detesto quando si cerca di farmela sotto il naso!»
La donna doveva essere davvero pazza, continuava a parlare di poste di Sua Maestà, ma mi sembrava scortese contraddirla, anche perché già così era abbastanza isterica, se mi fossi azzardato a correggerla probabilmente mi avrebbe staccato la testa a morsi.
«Mia cara, effettivamente i timbri su queste buste sono autentici. Non credo che questo signore ti abbia mentito. Probabilmente si tratta di un nuovo servizio entrato in funzione a Londra e che ora si sta diffondendo fino a noi. Credo che dovresti scusarti con questo gentile signore.»
Quasi scoppiai a ridere, vedendo con quanta sfrontatezza la donna passò dall’accusarmi al ringraziarmi come se le avessi appena salvato la vita.
«Oh Cielo, sono davvero mortificata, capirete anche voi che, non aspettandomi una simile novità, non potevo sapere che foste effettivamente chi dichiarate di essere. Perdonatemi, signore, non volevo offendervi, ma davvero al giorno d’oggi non ci si può più fidare di nessuno.»
«Non preoccupatevi, signora, capisco benissimo, al giorno d’oggi sono pronti a fotterti per un nichelino, è normale essere diffidenti.»
La signora mi guardò stranita, come se non capisse le mie parole. Forse avevo esagerato con quei toni, era una matta che si credeva una gran dama, quindi forse non era abituata a sentire certe parole. O sapeva fingere bene di non capire certe espressioni. Il marito intanto aveva raccolto le lettere e il pacchetto. Per lui c’era poca roba, il pacchetto di libri e una sola lettera. Il resto lo consegnò alla moglie, ancora ammutolita.
«Bene, Mrs Bennet, svelato l’arcano io tornerei alle mie faccende, e gradirei non essere più disturbato, a meno che non si tratti davvero di vita o di morte. Nel qual caso probabilmente lascerò ugualmente che il sia il Fato a decidere, essendo più potente e lungimirante di noi. Vi ringrazio per la vostra pazienza, signore, passate pure dal retro e fatevi versare una pinta di birra dalla cuoca.»
Non me lo feci ripetere due volte. Appena mi allontanai la signora si riprese.
«Oh, lasciate che vi accompagni, per farmi perdonare», e mi guidò fino alla cucina. Lì mi fece versare una pinta abbondante di birra fresca, che subito iniziai a tracannare. Aveva un saporaccio, ma meglio di niente, considerando che da quando avevo iniziato il giro non mi ero mai fermato. Intanto la donna controllava le lettere.
«Queste sono di Jane, dai Gardiner e da Mrs Lucas, cosa vorrà mai dalla mia Jane? Da Mr Bingley niente. Oh, possibile che non abbia ancora scritto? Dite» rivolta a me «Siete sicuro che nella vostra borsa non ci siano lettere da Londra per la mia Jane?»
Scossi la testa. Desolato, il malloppo è tutto lì. La donna tornò alle lettere. «Ecco qui ben tre lettere per Lizzie, sarà sicuramente quell’odiosa Mrs Collins che si da tante arie. Ora però Lizzie è nel Derbyshire, gliele darò quando torna. Per Mary niente, solo questi spartiti nuovi che si è fatta mandare da Londra, benedetta ragazza, finché passa tutto il suo tempo su quel pianoforte non troverà mai un pretendente.» Sì, forse era meglio che Mary iniziasse a mostrarla un po’ di più ai maschietti, per pietà di quel povero pianoforte. Intanto la donna continuava, come se non ci fossi. «Oh, già ben tre lettere per la cara Kitty! Per fortuna, stando sempre con Lydia, riesce a farsi influenzare dalla sua vivacità. E per la mia cara Lydia ben sei lettere! Una della signora Phillips e ben cinque da ufficiali del reggimento! Oh, cara bambina, devo dirle di stare attenta e non spezzare troppi cuori. E per me lettere da mia sorella e mio fratello. Spero che mi abbia mandato quel catalogo di moda che gli ho chiesto quando è venuto a trovarci l’ultima volta.»
Improvvisamente alzò gli occhi e mi vide. «Oh, siete ancora qui? Ma ditemi, siete proprio sicuro che non abbiate altre lettere per Jane? E’ così bella che è impossibile che Mr Bingley non le abbia ancora scritto, l’ultima volta che l’ha vista era così innamorato!»
«No, signora, non ho altre lettere per lei o le sue figlie. E se posso dirle una cosa, non si fidi degli uomini che sembrano innamorati, sembrano sempre innamorati quando cercano di portarsi a letto qualche ragazzetta innocente.»
«Come vi permettete di fare certe basse insinuazioni! Il signor Bingley è un gentiluomo e la mia Jane ha ricevuto la migliore educazione che una signora per bene possa avere, siete davvero un farabutto.»
Mentre diceva questo la sua voce era diventata più stridula, e già ero stanco di sentirla parlare, ora che stava addirittura strillando non riuscivo più a resistere.
«Signora, mi ha già dato due volte del farabutto, la ringrazio per la birra, il mio lavoro l’ho fatto, ora me ne vado. Buona giornata.»
Ma la donna non sembrava soddisfatta. Allungò la mano e cercò di prendermi la borsa «Voi siete proprio un mascalzone, vi denuncerò ai vostri superiori, fatemi vedere se avete altre lettere per noi!»
«Giù le mani dalla posta degli Stati Uniti d’America!» urlai con forza rovesciandole addosso quello che rimaneva della pinta di birra e allontanandola.
«Aiuto! Aiuto! E’ pazzo, è pazzo! Mi aggredisce!»
Mentre urlava la donna si dimenava impazzita, sembrava un furetto in preda alle convulsioni, e iniziò a muovere pateticamente i pugnetti, cercando di percuotermi sul petto come se fossi un tamburo. Vedendo che più che spaventarmi a stento trattenevo le risate si indispettì ancora di più, mi diede una sberla potente a mano aperta e di nuovo cercò di strapparmi la borsa. A quel punto persi la pazienza. Con una mano le bloccai i polsi, lasciandola ammutolita, la spinsi a forza contro il muro e le infilai la lingua in bocca, costringendola a rispondere con la propria, mentre la mano libera entrava nella scollatura ad esplorare quelle calde e molli abbondanze, inflaccidite dal tempo. Mi buttai di peso, anche se sotto tutte quelle palandrane era difficile sentire il suo corpo cicciottello. Quando mi staccai riattaccò subito «Aiuto! Aiuto! Mi usano violenza!»
La voce però adesso era quasi un sussurro, almeno per i suoi standard, e difficilmente l’avrebbero sentita, e quando tolsi anche la mano dal seno vidi chiaramente guizzare un lampo di rabbia vogliosa nei suoi occhi annebbiati.
«Oh, voi! Come vi permettete! Non potete pensare di trattarmi in questo modo e lasciarmi così!»
«Signora, devo tornare al lavoro, buona giornata.»
E senza aggiungere altro mi voltai e presi la porta, dritto e fiero. Mentre ero ormai a metà cortile sentiì che si affacciava alla porta. La sua voce roca mi colpì da dietro. «Tornerete? Oh, ditemi che tornerete da me.»
Un brivido mi percorse la schiena. Corsi via senza voltarmi, sperando di non essere visto dal marito o da qualcun altro della casa. Mi fermai a riprendere fiato solo quando arrivai sulla strada principale. Anche quel giorno mi sarei beccato un’ammonizione e avrei saltato il pranzo. E c’avevo guadagnato solo una pinta di birra schifosa e una palpata. Dovevo inventarmi qualcosa per chiedere a Stone di cambiarmi giro.
fk – 2017