Noi siamo isole

tempo di lettura: 4 minuti

UNO

Noi siamo Isole.

Isole all’interno di questo universo verde che ci avvolge.

Noi siamo Isole.

Stanno tornando i cacciatori, escono dal fitto del bosco attraverso passaggi che solo chi è ora nell’età adulta può conoscere e sapere.

Tornano, e come ogni volta contiamo le teste, contiamo sapendo che nulla sarà mai uguale a quando sono partiti.

Come hanno contato la mia quando tornavo, giovane, dalla caccia.

I bambini dicono che al di fuori, in un posto lontano, non ci sia questa nebbia.

Sono storie che si raccontano e che servono a mantenerli buoni.

Ma non sanno, non conoscono e non conosceranno ancora per molto ciò che non si può vedere.

Le tane del popolo, condivise con le radici del bosco attorno, sono l’unico luogo sicuro.

Si racconta, quando il cielo è aperto e quella luce che alcuni chiamano sol sale in cielo, che i primi della nostra gente usassero bastoni o sassi o non so cos’altro per capire dove le radici dei grandi alberi limite creavano isole di spazio abitabili.

Si racconta, nelle storie da nido, che il calore stesso era nelle tane anche quando la luce non c’era.

Ma i cacciatori stanno tornando, hanno attraversato lo spazio verde, forse hanno trovato ciò che sta al di là, ciò che non conosciamo, ciò che non ho mai visto e che ora non vedrò mai.

Io, che non ho più nulla da chiedere ormai, so che le visioni sono vere, so che le storie non finiscono una volta uscite dalle labbra di chi racconta.

Anche a me è capitato di tornare davanti a tutti nella mia isola, con i bastoni in mano di coloro che si sono persi, di coloro che sono passati attraverso il bosco.

Non sono mai riuscito a passare, non ne ho mai avuto il coraggio, non so che cosa mi ha fatto tornare continuamente qui.

Non so se è stato giusto.

DUE

Noi siamo navi.

Navi che solcano l’oceano verde.

Noi siamo navi.

La cosa più difficile era rimanere fermi immobili ad attendere.

Matti, il capo del nostro villaggio, dava i segnali convenuti. Le grandi bestie non si vedevano.

I più giovani erano affiancati a noi che ormai sapevamo come comportarci e osservavano.

Già al loro stadio alcune reazioni erano complete ma altre andavano allenate e armonizzate con il resto del clan.

Cercavamo le tracce dei piccoli saltatori che servivano così tanto per aiutare le radici dei grandi alberi a crescere forti e compatte e che facevano in modo che le nostre tane fossero protette.

Ma la vera caccia era alle grandi navi che solcavano, allora come adesso, l’oceano verde.

Era pericoloso ma non se ne poteva fare a meno: come sarebbe stata la nostra vita senza i doni che esse portavano?

Il loro passaggio al di sopra dei grandi alberi significava cibo e armi, rami spezzati con cui fare bastoni e frutti caduti dalla chioma dei grandi alberi da conservare per il freddo.

Le grandi navi però erano pericolo, soprattutto per i giovani del villaggio.

Tutti i giovani sognavano un giorno di fare come Gilbra, che si diceva per primo ne avesse preso al volo una ed era andato via per sempre a vedere il cielo.

Quanti sogni avevo fatto da giovane, il nuovo Gilbra, luce e il calore per il nostro popolo, racconti non ancora ascoltati.

Come sempre in queste cose, c’era anche chi, saggio o pauroso o semplicemente troppo vecchio per sperare, metteva in guardia da quella che diceva essere morte certa.

Molti provavano durante le battute di caccia ad attaccarsi a quelle più lente quando passavano.

La maggioranza di noi ci aveva provato almeno una volta, direi quasi che bisognava essere vecchi e saggi per resistere alla chiamata.

Ogni volta che queste navi arrivavano noi cacciatori impazzivamo.

Era successo anche a me e non sapevo spiegarmi come mai.

Sentivo solamente la voglia di attaccarmi addosso alle lunghe escrescenze che sembravano vive e uscivano da quello scafo sinuoso e continuamente in movimento.

Per un momento sembrava che il nostro mondo finisse per diventare uno con quella enorme massa in movimento.

Appena finiva questo stato e ci risvegliavamo alla realtà ci ritrovavamo sparpagliati correndo incontro a quella cosa mostruosa ed affascinante senza nessun motivo apparente.

TRE

Noi siamo vento

portato da ali che devono crescere.

Noi siamo vento.

Noi siamo navi, navi che solcano l’oceano verde”, dice un famoso ritornello per cuccioli, l’ho ripetuto continuamente, nascita dopo nascita. Qualcuno dice che è per questo che ora non ho più nessuno attorno, che i miei piccoli se ne sono andati con le navi.

Ora mi chiedo, nel momento finale della mia vita se è stato giusto spingere le mie stesse uova a diventare novelli Gilbra, ad affrontare ciò che io non ho osato fare.

Il villaggio attende, ora che sono tornati i cacciatori, che me ne vada; nessuno mi guarda, la tradizione vuole così e non mi aspetto altro da chi ha vissuto tutta la vita in questa ombra.

Un insieme di regole imposte da non si sa chi e si direbbe quasi inscritte nei geni da una mano capricciosa.

E’ tempo di andare.

Sento già le mie molte zampe pronte a riunirsi al corpo, la schiena mi fa male come se qualcosa dovesse crescere ed uscire.

Ho bisogno di un bozzolo caldo che mi racchiuda in questo mio ultimo viaggio.

Paolo Costa / Lazarus – 2016

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