
I . Il Barbone
Marcus Dobrǒmov, detto Dobro, sia per la forma del corpo che richiamava la national steel guitar, sia per la compattezza dei suoi muscoli che sembravano fatti di ferro proprio come la cassa armonica di quel tipo di chitarra, come ogni mattina alle 6 in punto era nella sala danza intento a rimirarsi compiaciuto negli specchi mentre eseguiva alcuni esercizi tonificanti, prima che arrivassero le ragazze del balletto di cui era il coreografo. Controllava se le cicatrici dei colpi di pistola rimediati nell’ultima trasferta della scuola stessero scomparendo. I segni che rimanevano riteneva gli dessero un non so che di misterioso e maschio che qualche amico diceva fosse un tratto manchevole nel suo essere. Per lui questo aspetto non era un grosso problema, nel mondo della danza non c’erano pregiudizi di sorta, anzi quasi ci si aspettava che i ballerini classici che ostentavano quella che molti chiamavano normalità lo facessero solamente per una sorta di ribellione al senso comune che li voleva tutti di tendenze omosessuali. Dobro aveva avuto amanti e avventure di ogni tipo, compagni e compagne a seconda del periodo che stava vivendo e, nonostante ciò che si diceva in giro, preferiva guardare e toccare una donna piuttosto che un fisico, per quanto potesse essere bello, puramente mascolino.
Prima di fare la doccia e attendere che entrassero le ragazze si esibì in uno dei suoi famosi adagi densi di movimenti lenti e aggraziati con una tecnica che aveva perfezionato da giovane e che ancora eseguiva in maniera così fluida da fare invidia a molte sue colleghe femmine ancora in attività. Era ancora in forma nonostante la sua età non più giovanissima, e questo lo faceva sentire bene e sicuro di se stesso.
Quando finì gli esercizi e si fu cambiato, dalla sua solita postazione in sala si mise ad osservare come sempre le ragazze che entravano. Si faceva un punto di onore di essere presente prima di tutti in maniera da dare l’esempio di puntualità e correttezza.
Mentre le osservava attentamente, intuì che al di là della solita compostezza che ogni ballerina impara da subito a mostrare quando si trova di fronte al coreografo che potrà decidere del proseguimento della sua carriera artistica, c’era una tensione nascosta, innaturale, che gli metteva un certo disagio addosso. Queste ragazze, oltre che essere allieve, sapevano di essere sotto osservazione per un balletto tratto dalla Carmen di Bizet che la scuola avrebbe dovuto portare in giro durante la tournée estiva, un’occasione molto importante che nessuna di loro voleva perdere. Guardandole bene almeno cinque o sei sembrava avessero esagerato con il trucco, qualche chignon non era perfetto come avrebbe dovuto essere e i fondotinta erano messi quasi a coprire occhiaie o lividi. Durante il riscaldamento, mentre le osservava molto attentamente e nel momento stesso in cui prendeva nota mentalmente di cercare di indagare più tardi quei comportamenti anomali, con la coda dell’occhio notò una figura a lui familiare entrare nella stanza. Insegnante in quell’istituto come lui e amica da una vita, Romi con la sua sola presenza poteva essere dirompente o estremamente discreta. In questo caso rimase defilata e si mise ad osservare, appoggiata allo stipite della porta di ingresso, ferma immobile senza fare nessun passo verso di lui e senza staccare gli occhi dal gruppo delle ragazze. Qualcuna di loro gettava uno sguardo fugace, sembrava che la donna avesse timore di entrare e lo stesso le ragazze che trasalivano vedendola in quel luogo. Questo modo di fare così insolito lo mise subito in agitazione, non l’aveva mai vista meno che sicura o padrone della situazione, nemmeno quando da piccoli alla scuola del paese lo sorprese senza vestiti nel boschetto dietro casa di lei. Si erano persi di vista dopo le scuole secondarie, lui a seguire la carriera di ballerino e lei nell’esercito prima e come interprete teatrale poi. Per un caso fortuito Romi era venuta a Milano per recitare nella compagnia del Piccolo e lui l’aveva riconosciuta una sera in cui era andato a vedere Il giardino dei ciliegi messo in scena da Strehler. Da quel momento ripresero a frequentarsi e alla fine tutti e due erano stati assunti come insegnanti nello stesso istituto privato fuori Milano, che faceva sentire importanti e salire di qualche gradino nella scala sociale i figli della media borghesia milanese e brianzola.
Romi rimaneva una costante della sua vita. Un amore giovanile non corrisposto e un’amica fedele, aveva anche un aspetto che alle sue colleghe ballerine mancava completamente e che ai suoi occhi la rendeva ancora più desiderabile, un di più che Romi non mancava di mettere in mostra con scollature e movimenti che sembravano estremamente inconsapevoli, quasi non lo considerasse un possibile oggetto del desiderio. Queste visioni creavano in lui, soprattutto quando era nella tipica tenuta dei ballerini classici, momenti di forte imbarazzo e forme strane all’interno della calzamaglia. Quando lei se ne accorgeva lo prendeva in giro per giorni ridendo e divertendosi ancora di più a provocare l’amico. Ma in quel momento, appoggiata alla porta, l’atteggiamento dell’amica non aveva nulla di giocoso o di normale, Romi era chiusa al mondo e rivolta ad osservare ogni cosa fuori di lei con una concentrazione che aveva visto poche volte. Questo rendeva ancora più forte l’inquietudine che lo aveva preso nel momento in cui le ragazze erano entrate. Cercò di non farci caso, proprio come cercava di scacciare l’eccitazione in quei momenti imbarazzanti, e si concentrò sulle ballerine che facevano i consueti esercizi di riscaldamento.
Prese una di loro che non stava eseguendo a dovere un gran pas de deux assieme al compagno e si sostituì a lui per correggere quello che non andava. Sentì chiaramente un fremito di dolore quando la forzò con un po’ più di energia e perplesso la lasciò andare quasi subito, evidentemente aveva esagerato nello studio dei vari movimenti e in qualche modo ne stava pagando le conseguenze. Gli dispiaceva un po’ ma per il balletto si doveva sopportare questo e altro, lui a suo tempo lo aveva sopportato, il dolore fisico per un periodo della sua vita gli era stato compagno e amico, lo teneva vivo e gli ricordava che non poteva rilassarsi.
Aspettò un po’ e si avvicinò per aiutarla nuovamente. Rimase stupito quando la ragazzina si ritrasse quasi in maniera involontaria, lo intuì in un modo che solo un allenamento e un’esperienza di anni possono permettere, in quanto non c’era nulla che si potesse vedere in maniera chiara ma lui, una vita dedicata al ballo, allenato a percepire ancor prima di vederli i più piccoli movimenti corporei, sapeva capire senza dover vedere distintamente se qualcosa era fuori posto. Questo era veramente strano, che la ragazza si fosse procurata qualche danno più grave? Non riusciva a comprendere come mai una ballerina brava come Rosanna, abituata da oltre cinque anni a sopportare innumerevoli ore di esercizio fisico che aveva modellato e in qualche modo piegato il corpo, potesse provare un dolore così grande.
Si mise allora ad osservare meglio anche le altre ragazze e notò che piccoli particolari non collimavano, non erano perfetti come al solito, una posizione, un piede non perfettamente allineato, un movimento che finiva un po’ più lungo o un po’ più corto e soprattutto i continui sguardi in fondo alla sala dove Romi rimaneva immobile, quasi paralizzata a guardare.
Durante la spiegazione di un complesso movimento corale perse di vista la zona della porta e quando gettò lo sguardo nuovamente al fondo della sala l’amica era sparita, lei chiassosa ed esuberante se n’era andata senza nessun rumore. L’avrebbe ritrovata più tardi, era sicuro che non era venuta lì per caso, aveva qualcosa da dire e osservare. Come lui, anche se in maniera diversa da lui, comprendeva il linguaggio del corpo e sapeva osservare i volti e le tensioni che si nascondevano sotto di essi.
Finì la sessione di allenamento e prima di lasciar uscire le ragazze diede loro una bella strigliata per il fatto che non erano perfette come al solito, chiese loro come poteva la compagnia competere con i ballet più importanti al mondo se le ballerine non erano migliori delle migliori. Per quanto si fossero fatti un nome non erano al livello di compagnie come quelle dei grandi teatri mondiali e si stavano conquistando un posto a suon di tournée in teatri medio grandi, sperando un giorno di poter calcare qualche scena veramente importante o che il nome diventasse sinonimo di serietà. Per ora lui ci metteva il suo nome e la sua abilità di coreografo. Chiaramente la loro era una scuola d’arte che non poteva permettersi un convitto se non per il solo corpo di ballo che con le tournée e il contributo delle famiglie si autofinanziava.
Come in tutti quei collegi la separazione fra maschi e femmine era netta e sorvegliata da insegnanti e tutori. Nonostante questo non si era mai sentito che nell’età in cui gli ormoni cominciano ad impazzire si sia riusciti a tenere lontani un ragazzo e una ragazza che avessero deciso di dover incontrarsi. Prese da parte Rosanna prima che andasse a lezione e cercò di farsi spiegare cosa stesse succedendo. Le risposte vaghe parlavano di rumori di notte che non le avevano lasciate dormire e si erano svegliate tutte stanche quella mattina. La lasciò andare senza approfondire, le insegnanti erano tolleranti per alcuni piccoli ritardi ma non si doveva esagerare. Tutto faceva pensare che non ci fosse nulla ma non riusciva a togliersi dalla mente quell’involontario gesto di dolore che aveva percepito prima ancora di vederlo.
In sala insegnanti Romi non c’era, gli dissero che aveva chiamato per dire che non stava molto bene e non se la sentiva di prendere servizio. Come tutto il personale che non era del luogo anche lei viveva in un piccolo appartamento che la scuola metteva a disposizione in cambio di alcune ore di sorveglianza e di controllo sui ragazzi.
Marcus non commentò e prese da parte Lucio, l’insegnante di educazione fisica che con lui preparava le ragazze per la dura disciplina che le aspettava.
“Ho bisogno che tu mi aiuti con le ragazze.”
“Dimmi Marcus, hanno bisogno di qualcosa in particolare?”
“Vorrei mi dicessi se qualcuna non viene ad educazione fisica oggi o domani.”
“Ok ma ci può stare che siano affaticate, o no?”
“Sicuro, solo vorrei saperlo, ho notato che alcune sembrano provate dai carichi di lavoro, ci sta e vorrei evitare di far loro del male. A me non lo dicono per paura di essere messe fuori dalla rappresentazione ma non va bene se si rovinano a quell’età.”
“Certamente, oggi pomeriggio dovrei avere lezione e ti faccio sapere se ci sono problemi.”
Sperava di essere stato convincente con il collega. Adesso doveva trovare Romi. Al cellulare non rispondeva e lui per quel giorno aveva finito con le lezioni o le prove di ballo.
I professori ovviamente non avevano le stesse limitazioni a muoversi degli studenti se non nelle ore di sorveglianza in cui erano obbligati a rimanere all’interno del recinto dell’istituto. Quelle ore però diventavano un modo per passare del tempo con colleghi che altrimenti non si sarebbero mai conosciuti e frequentati e contribuivano, nella maggior parte dei casi, a creare un clima di cameratismo e collaborazione.
Arrivò all’appartamento dell’amica e bussò più volte, era chiaro che non c’era. Stava per andarsene quando la vide entrare con la sacca da allenamento, Romi nell’esercito era stata un’atleta dedita a tutte le discipline di autodifesa personale e aveva continuato ad allenarsi per mantenere il fisico pronto ad ogni evenienza.
“Ti aspettavo.”
“Lo vedo che mi aspetti, cosa vuoi?”
“Cosa c’è?”
Lei sta in silenzio davanti a lui, lo osserva immobile, dentro di sé sta prendendo una decisione difficile.
“Entra.”
Dentro, in piedi, di nuovo uno di fronte all’altra. Marcus non dice nulla, è lei che comincia a parlare. “Ieri notte durante le mie ore di sorveglianza ho sentito dei rumori strani provenire dal parco dietro la palestra, pensavo fossero le solite fughe notturne di qualche ragazzo che aveva appuntamento con una delle ballerine e mi avvicinai lentamente facendo anche parecchio rumore in maniera che chi si era imboscato potesse andarsene senza grossi problemi, sai come facciamo di solito. Arrivai al boschetto, quello con la radura centrale, in fondo sotto la scarpata, pensavo che i due fossero ad amoreggiare nelle panchine sotto gli alberi, quando vidi un gruppo di cinque ragazze che ne trascinavano un’altra verso il dormitorio.
Cercai di chiamarle ma qualcosa me lo impedì, non riuscivo a coordinare i movimenti e mi sono ritrovata a terra incapace di alzarmi.”
“Tu incapace di alzarti? Se non sono mai riuscito ad atterrarti nemmeno io?”
“Eppure rimasi cosciente per un certo tempo, ma non riuscivo ad alzarmi e muovermi, potevo solo ascoltare lamenti e rumori che arrivavano da fuori il mio campo visivo. Ad un certo punto mi sono addormentata oppure ho perso conoscienza e mi sono risvegliata dolorante.”
Romi comincia a togliersi i vestiti, non è un movimento sensuale ma semplicemente deve far vedere qualcosa:
“Guarda.”
Dal seno all’inguine la sua pelle è attraversata da dieci segni rossi, come se un animale l’avesse graffiata e le avesse scorticato la pelle.
“Romi, ti sei fatta vedere da un medico?”
“Cosa vuoi che faccia vedere, andranno via fra qualche tempo, sono superficiali, resta il problema che qualcuno o qualcosa mi ha fatto questo ed io non ho potuto farci nulla. Questa mattina ero lì per capire se riconoscevo qualcuna delle ragazze della notte prima.”
Dobro le racconta tutto quello che ha percepito durante la sessione di prove e che ha chiesto a Lucio di controllare se le ragazze diranno qualcosa.
“Ma come sei tornata a casa?”
“Con fatica, mi sono svegliata che era ancora notte ma non c’era più nessun rumore, qualcuno mi aveva fatto questo ma niente altro.”
“Sicura? Non è il caso…”
“So cosa pensi, saprei se qualcuno mi avesse violentata, ma niente, non ho altro a parte un mal di testa spaventoso.”
Decidono allora di tornare nel punto in cui Romi ha visto le ragazze.
L’ultimo proprietario della villa aveva voluto ricreare un parco in stile romantico con boschetti, ninfei, specchi d’acqua e percorsi che potessero dare il senso di un luogo naturale e nascosto, compresi angoli appartati e piccole radure in mezzo agli alberi che erano la disperazione dei professori quando stavano in servizio notturno. Il boschetto di cui aveva parlato Romi, era stato costruito proprio a ridosso di una collinetta all’esterno della proprietà che si trasformava in una scarpata quasi verticale e in una grotta artificiale verso l’interno. Era da lì che di solito gli studenti cercavano di uscire, qualcuno era anche caduto cercando di scalare quella piccola parete ma negli anni non si era mai fatto nulla per sistemare il pericolo, bloccati come erano da sovraintendenze varie che non volevano venisse alterato un ambiente così caratteristico e a loro modo di vedere ben fatto.
Si avvicinano assieme e Marcus sente che Romi trema, ma non di paura, di frustrazione. Per una come lei, ex specnaz del GRU, essere messa fuori gioco non è ammissibile. Notano che non tutto è come al solito, poi Romi indica una gamba che spunta dalla vegetazione a ridosso della scarpata sotto la collinetta. Si avvicina e comprendono dalla posizione innaturale che la persona che si trova a terra è morta.
Ne ha già visti altri quando si trovava in Russia e controlla se sente il battito o se percepisce segni che possano far pensare anche ad una lieve attività. Si alza e con il cellulare chiama la polizia, sa che arriveranno presto, cinque o dieci minuti al massimo.
L’uomo raccoglie da terra un nastro di raso bianco e se lo mette in tasca, intanto osserva attentamente attorno.
“Cosa stai facendo?”
“Fidati, niente di che.”
“Cosa hai raccolto?”
“Dopo ti faccio vedere. Prima che arrivi la polizia guardiamoci attorno.”
Una boccetta vuota di Alcover, serve per la cura dell’alcolismo, una bottiglia di grappa della peggior marca, anche quella vuota, vetri rotti e sotto le piante i panni che evidentemente si è trascinato cadendo. Vede molte tracce, erba calpestata attorno al corpo e più in là, dove infine spariscono in corrispondenza della radura in quanto l’erba tagliata bassa dai giardinieri non permette di notare nulla. Sarebbero stati questi ultimi a trovare il corpo se non ci fossero arrivati loro per primi. Dobro è sicuro di aver visto abbastanza, attende la polizia e intanto medita su ciò che pensa di avere compreso.
Le pratiche vanno via veloci, tanto si sapeva già che prima o poi qualcuno si sarebbe rotto l’osso del collo in quel punto del parco, come disse un carabiniere che ogni tanto passava per la scuola per questioni burocratiche, speriamo che ora facciano qualcosa in maniera da eliminare i pericoli. Dobro e Romi raccontano all’ispettore Sarti che stavano passeggiando nel parco quando hanno visto quella scena, l’ispettore li conosce, la figlia è nella scuola e sa che i due in Russia ne hanno viste tante, lo capisce dall’assoluta calma con cui rimangono a disposizione per le domande, senza isterie o esagerazioni. L’atmosfera è cordiale, se non ci fossero le luci blu e l’ambulanza in attesa sembrerebbe quasi rilassata.
“Ci dispiace che avrete un po’ di pubblicità negativa ma vedrete che tra qualche tempo nessuno ne parlerà più, in fondo si tratta solo di un barbone che ha deciso di venire a morire qui piuttosto che sotto un cavalcavia dell’autostrada.”
Marcus annuisce ma sa già che la cosa non potrà finire lì.
Il giorno dopo Dobro è in palestra con Lucio e Romi, di fronte ha le ragazze che la mattina precedente lo hanno fatto allarmare.
“Sapete tutte quello che è successo ieri notte. Vorrei che foste sincere con me. La polizia ha già deciso che è stato un incidente, io non so se sia vero.”
Cammina lentamente davanti a loro in maniera quasi teatrale.
“Forse vi state domandando perché sto parlando solo con voi e non con i maschi che erano con voi.”
Si ferma e le osserva una ad una.
“Perché io so che voi eravate lì, o almeno so che una di voi era lì, ma non so chi altro ci fosse.”
Toglie dalla tasca il nastro che ha trovato per terra e lo appoggia davanti a loro.
“Dubito che una di voi si aggiri per il parco durante la notte con le scarpette da ballerina.” Guarda fisso una di loro.
“Rosanna, cosa ti sei fatta lì fuori di notte?”
Sa benissimo che sono poco più che bambine e la loro postura, il modo di guardarlo, quello che esprimono senza parole dicono a lui, Romi e Lucio tutto quello che vogliono sapere.
Nessuna parla, molte sanno, è questa la sua conclusione. Decide che deve incontrarle una ad una. Durante il giorno le cerca e parla con loro, sono quasi tutte spaventate e lui le rassicura ma sanno che il suo giudizio può decidere della permanenza o dell’uscita dalla scuola e della loro carriera di ballerine.
Per lui sarebbe un bel problema, la Carmen è quasi pronta e le tournée di primavera sono molto vicine, eppure non demorde, vuole arrivare fino in fondo.
Tutto il giorno a ricevere le ragazze, assistere ai loro pianti e scuse e ascoltare confessioni lo lasciano prostrato.
Deve ancora fare una cosa, deve andare da Romi e raccontarle cosa è successo. Ora il quadro è già più chiaro. Per la polizia il caso è molto semplice, ma lui ha visto e notato cose che non lo lasciano tranquillo. Nonostante tutto sa che non riuscirà a ricavarne molto di più e decide che non chiederà più nulla, almeno per ora.
Romi è in piedi che lo aspetta nella sua stanza. Entra e lei lo guarda con un misto di ansia, curiosità e paura vera e propria, sa che la scuola e il suo buon nome dipende anche da questo. Ora che ha trovato una sistemazione che le permette di vivere decentemente facendo ciò che le piace non vuole rinunciarci, ma lo farà se proprio deve. Il suo passato da tutore dell’ordine non le permette di derogare da questo, ha litigato molto con l’amico ma si fida di lui ed è certa che non riuscirà a nasconderle nulla.
“Allora?”
“Era come pensavo e come ti ho raccontato, le ragazze sono uscite la sera dalle camerate sperando di incontrare ragazzi nel parco, non è una novità, solo che si sono trovate di fronte quel barbone già morto. Tendo a credere che sia stata solamente una disgrazia, avevo già segnalato che da quel lato del parco poteva succedere che qualcuno cadesse dentro, certo non pensavo potesse succedere che uno venisse a morire al riparo del boschetto. Stavano per rientrare quando Rosanna è crollata a terra priva di conoscenza. Avevano bevuto e mi hanno portato una bottiglia di grappa come quella accanto al corpo del barbone. Dicono che l’hanno presa quasi per sfida e almeno un paio di loro si sono sentite male dopo averne bevuto un po’.
Immagino che quel povero cristo ci avesse messo dentro dell’Alcover che con l’alcool agisce come una vera e propria droga che fa perdere conoscenza e provoca amnesia.”
Lei lo guarda allarmata.
“Ma io non ho bevuto sicuramente grappa, anzi che io sappia non ho bevuto nulla se non acqua quella sera.”
“Cara Romi, sicura di non aver bevuto niente?”
Romi si gira e va ad un pensile nella stanza accanto, Marcus sente muovere delle bottiglie ma preferisce rimanere dov’è e non la segue.
Romi torna, la faccia tra il perplesso e lo spaventato.
“Non hai trovato bottiglie nel tuo giro, vero?”
“Vicino al senzatetto c’era un bottiglia vuota di grappa, so con sicurezza che nemmeno la polizia è riuscita a trovare nulla al di fuori delle tracce del barbone che portano al luogo dove poi è morto.”
“L’amnesia può continuare per molto tempo?”
“Che io sappia è un effetto temporaneo se non per il fatto che quel periodo che non ricordi rimarrà per sempre chiuso all’interno della tua mente profonda.”
“Allora probabilmente ho perso la bottiglia di Vodka che mi aveva mandato mia sorella dall’Ucraina da qualche parte e prima o poi la ritroverò.”
Dobro la guarda e annuisce per rassicurarla. Dentro di sé le domande irrisolte continuano a girare, è sicuro che ci sia altro, troppe cose rimangono senza risposta. Ma non è questa la notte per cercarle.
Paolo Costa/Lazarus – 2019