un videogioco – Dark Souls

Esperienze venete ad Anor Londo

tempo di lettura: 7 minuti

 

Qui si vogliono narrare le avventure del povero Bepi, Ajibor ebreo veneto il non morto, prescelto nelle lande desolate e devastate dalla piaga dei non morti.

 

Nell’era degli antichi il mondo era amorfo e avvolto dalla nebbia.

Un regno di rupi grigie, alberi giganti e draghi eterni.

Poi venne il fuoco e con il fuoco venne la diversità.

Caldo e freddo, vita e morte e infine luce e tenebra.

Poi dall’oscurità giunsero loro, e trovarono le Anime dei Lord tra le fiamme.

Nito, il primo dei morti.

La Strega di Izalith e le sue Figlie del Caos.

Gwyn, il Lord del Sole, e i suoi fedeli cavalieri.

E il nano furtivo, spesso dimenticato.

 

Con la forza dei Lord, essi sfidarono i draghi.

I potenti dardi di Gwyn perforarono le loro scaglie di pietra,

le streghe invocarono immense tempeste di fuoco.

Nito scatenò un miasma di morte e malattia,

Seath il Senzascaglie tradì i propri simili e i draghi si estinsero.

 

Così ebbe inizio l’età del Fuoco.

Ma presto le fiamme svaniranno, e resterà soltanto l’Oscurità.

Perfino ora restano soltanto le braci e l’uomo non vede la luce, ma solo notti eterne.

E tra i viventi si distinguono i portatori del maledetto Segno Oscuro.

 

Sì, invero il Segno Oscuro marchia i non morti

e in questa terra i non morti vengono radunati e condotti a nord,

dove sono rinchiusi in attesa della fine del mondo.

Questo è il tuo destino.

 

 

 

Una leggenda che mi veniva insegnata fin da quando ho memoria e nei miei ultimi anni di vita effettivamente mortale continuavo a sentire, cantilenante nella mia testa dalla voce di mia nonna. Alla fine nei miei ultimi giorni di vita comparve il Segno Oscuro. Cercai di nasconderlo ma una maledizione non si può nascondere per molto tempo, venni prelevato a forza dalla mia casa e condotto come altri alla piazza della città. Lì ad attenderci c’era un corvo gigantesco, ci fecero ammucchiare, al fischio il corvo dispiegò le ali, prese il volo, un giro sulla piazza e in picchiata ci prese nei suoi artigli. La destinazione era chiara, l’esilio nelle lande dei non morti, un viaggio che durò un’intera notte. Superammo le montagne e una città all’alba illuminata dai raggi del sole ci apparve, magnifica, intatta, possente. Sapevamo tutti che quella era la città dove un tempo avevano regnato i Grandi Lord delle leggende, ora però conosciuta solo per il triste destino dei suoi occupanti, ma la nostra meta non era la città. Il corvo deviò da quella meravigliosa visione e dopo un po’ vedemmo una struttura decrepita, alcuni già la riconoscevano come casa.

Il manicomio dei non morti, rifugio dove rinchiudere i portatori del marchio prima che perdessero la loro stessa umanità e diventassero solo gusci, esseri vuoti senza volontà alcuna.

Il corvo da metà altezza aprì gli artigli e ci scaraventò in aria per qualche secondo, poi il duro pavimento di pietra di una cella, qualche osso rotto ma non sentivo niente, solo un bruciore sul petto dove c’era il segno oscuro, e poi ero come nuovo, sì, ma sicuramente meno umano, come se effettivamente potessi sentire la maledizione che stava prendendo parte della mia umanità e non sembrava una cosa molto piacevole.

Ora che mi guardavo intorno ero dentro una stanza, un buco sul tetto, quattro mura e una bella porta di ferro arrugginita a contornare quella baita in montagna, suite baracca ma purtroppo senza la cadrega.

Continuarono a passare i giorni ma tutto diventava sempre un po’ più cupo, la mia pelle ormai raggrinzita tendeva ad un colore grigiastro di sicuro non salutare, e non credo ormai avessi un bell’aspetto, magro, senza mangiare, solo i miei capelli rosso fuoco continuavano a rimanere intatti.

Un giorno però si affacciò dal buco del tetto un cavaliere:

“Ciò ma sito Bepi el fiolo della Gina?”

“Eh certo la Gina sera me mama.”

“Ma varda ciò che figata quanto se piccolo el mondo. Tò, ciapa chi, te go rancura la ciave dea cela, un toco de spada rusinia, dei vestiti e zinque fiaschete de quea bona, ma sta tento a non finirla tutta subito, me raccomando bocia, mi te speto al secondo piano e ricordate de stare tento al guardian che queo el te bate con la clava che la se lunga quanto el so casso!”

Il misterioso cavaliere se ne andò lasciandomi un po’ interdetto, però almeno finalmente potevo uscire e cercare di fuggire da quel manicomio, sapevo che dovevo uscire e non c’erano domande da porsi.

Un lungo corridoio e altre celle dove gli occupanti erano solo ormai dei gusci vuoti senza più nessuna umanità, orbite vuote, guidati solo dall’istinto di cacciare chi ancora non aveva perso il lume della ragione.

Una visione di vapori sulfurei e orrida si intravedeva dalle inferriate che davano sulla sala sottostante, una presenza demoniaca con una clava enorme continuava a fare avanti e indietro per l’intera lunghezza, mi avviai cautamente e trovai dei soldati vuoti, li feci a pezzi e svanirono e sentivo il potere di quegli esseri, o per meglio dire delle loro anime pervadermi il corpo.

Ad un certo punto incontrai il mio primo falò, un mucchio di ossa e cenere accatastate e una spada con il corpo attorcigliato al centro, un richiamo nella mia testa, una sensazione. AVVICINATI. STENDI LA MANO. Una scintilla, un calore si fece strada dentro di me e il fuoco si accese così caldo, così tranquillo e ristoratore, così umano.

Dopo un po’ di girovagare in quel luogo riuscii a ritrovare il mio catalizzatore da stregone e una magia che non faticai molto a imparare, dato il mio passato nelle arti magiche.

Trovai colui che mi aveva liberato quasi schiacciato da un masso gigante rotolato sul suo corpo.

“Ah, bocia, finalmente te si rivà. Me sa che non sto mia tanto ben, go come un peso suo stomaco, mi son Oscar di Astora, un tempo un gran cavajere, ciapa sta ciave e scappa da sto manicomio. Ciò, non me rimane molto tempo e fra poco sarò un essere vodo sensa pi umanità. Non sta domandare altre cose, va vanti e salutame la Gina se te riesci tornare casa”. Disse quell’ultima frase in una piccola risata che poteva solo accompagnare alla follia degli esseri vuoti e mi allontanai da lui.

Avventarsi contro un demone alto più di 10 metri con un pezzo di spada arrugginita non è il massimo della strategia, ma almeno avevo anche la mia magia. Capii la geometria del luogo e trovai un balcone sopra la sua stanza, presi le dovute misure e mi avventai contro di lui, un salto e la spada arrugginita ben salda in mano e gli squarciai parte del corpo per attutire la caduta, ma era ancora in piedi e sicuramente più incazzato di prima. Ne seguì uno scontro molto combattuto e alla fine lo sconfissi con la mia magia, grazie alle frecce dell’anima.

Ucciso, il suo corpo scomparve lasciando un cumulo di anime che assorbii. Mi sentii un po’ più umano e varcai l’enorme portone. Oltre trovai una salita sul crinale della montagna che un tempo doveva comunque essere parte dell’edificio, ora però era rimasta solo qualche vestigia di mura a ricordare l’architettura ed il nido del corvo. Mi incamminai e sentivo la mia libertà che si avvicinava, venni preso al volo dal corvo, mi sentivo ora al sicuro racchiuso in quelle zampe. Il viaggio fu lungo e alla fine arrivammo in una radura, un falò acceso come ne avevo trovato prima, ma questo con una fiamma più viva ed un nome affiorò nella mia mente: Santuario del legame del Fuoco.

Siamo alla fine dell’Era del Fuoco ed è un mondo affievolito in preda all’oscurità quello che vediamo, un mondo che ricorda frammenti di tempo di varie epoche mescolate, contorte in preda all’oscurità. D’altronde sappiamo che il fuoco si sta spegnendo e questo permea l’atmosfera di una follia malinconica, solo pochi punti fissi svelati al giocatore ed il resto rimane nel non detto, nella narrazione che ognuno crea del suo personaggio.

Giocando Dark Souls fin dalla prima volta mi è rimasta impressa la risata che hanno tutti gli NPC nei dialoghi che si costruiscono, tutti alla fine perdono la ragione, diventano esseri vuoti, ma perchè noi no? Noi scopriremo dopo un bel po’ di ore di gioco che siamo il non morto prescelto, colui che deve alimentare la fiamma, infondergli una nuova scintilla e far si che il mondo non cada nelle tenebre, ma quale mondo? Il mondo sta collassando, non c’è un solo mondo, una sola epoca, gli oggetti portano descrizioni e le descrizioni riportano frammenti di storie. Storie che siamo avidi di conoscere, delle quali cerchiamo di unire i punti, ma dobbiamo accettare che alcuni punti siano letteralmente perduti e irrecuperabili. Però questo lo sapremo solo più avanti e in questo mondo cerchiamo di orientarci attraverso i luoghi, le persone che incontriamo, carpiamo dai dialoghi ogni frammento di informazione con cui poter proseguire la storia, la nostra storia. La narrazione nascosta fa da padrone a questo gioco, è lei la vera maestra e più la cerchiamo più lei si nasconde.

Non è un gioco banale, tutt’altro, l’esplorazione permea ogni secondo dell’esperienza di gioco e questo permette un’immersione completa.

Puoi stare ore a rimanere seduto guardando il lago di cenere e perderti in quel paesaggio romantico e malinconicamente desolato allo stesso tempo, oppure goderti il lieve tepore dato da quella casa chiamata Santuario del legame del fuoco, dove dei personaggi che incontrerai alcuni condivideranno i loro saperi, altri li celeranno dietro false promesse, chi lo sa?

Il gioco, o per meglio dire l’esperienza, supera di gran lunga il classico giochino che dopo aver completato dimenticherai. Ti entrerà dentro e ogni giocata non sarà mai uguale alla prima, perché la storia può cambiare e lo decidi tu dopo che cominci ad avere sempre più informazioni. D’altronde i mondi e i tempi si incrociano in Dark Souls e questo è il tuo tempo, Chosen Undead.

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