
La mattina, fresca di umidità, si intrufolava dolcemente nella notte ormai anziana, risvegliando San Geronimo. Il paesino era un minuscolo agglomerato di case variopinte che con il loro imperfetto saliscendi regalavano una piacevole armonia all’altrimenti monotona costa rocciosa e un po’ troppo beige, per chi la osservasse da una barca navigando al largo.
Martín camminava sul lungomare mentre il sole spuntava timido all’orizzonte e plasmava delicatamente le cose, restitutendo loro il volume e la presenza che avevano perduto durante la notte. Il ragazzo fece un rapido calcolo e si rese conto che erano ormai tre anni che vedeva l’alba a quel modo, passeggiando mentre si recava al ristorante, lasciandosi sorprendere dal primo raggio che gli pungeva gli occhi increspandosi sulle onde del Pacifico. Era sempre come la prima volta, non lo stancava mai quell’immagine. Sorrise, si sentì sereno. Pensò che scoprire l’esistenza di qualcosa che non ti annoia mai sia davvero qualcosa di inestimabile nella vita, soprattutto per un tipo come lui che si sentiva soffocare facilmente nella routine quotidiana. Tutto sommato, anche del suo lavoro non si poteva lamentare. Certamente rimaneva un lavoro, una faccenda che in un qualche modo si è obbligati a svolgere, ma gli piaceva o, per lo meno, non si annoiava. Da quando aveva vent’anni si svegliava ogni mattina alle cinque e mezza, prendeva il caffè ancora sonnolento, scendeva le scale di casa barcollando, imboccava la strada per il porto e, salutando il sole, arrivava al ristorante. Nella piccola cucina trovava la verdura pronta da curare, affettare e lessare prima delle nove. Alle nove iniziava a cucinare. Prima venivano i soffritti, le salse, i brodi, le insalate, insomma tutto quello che durava e che faceva da base per il resto. Alle undici si iniziava a cucinare i piatti veri e propri. Verso quell’ora i marinai e i pescatori arrivavano al locale già spossati dal duro lavoro. Volevano sedersi, trovare tutto bello pronto ed essere serviti in fretta per poter mangiare ed andare a dormire la siesta.
Il locale era piuttosto modesto, uno spazio di una ventina di posti tra portico e sala, più simile ad un’osteria che ad un ristorante. La cucina era molto piccola, un rettangolo stretto con due forni, un freezer, un frigorifero, una tavola attaccata al muro e ovunque stoviglie, pentole, insalatiere ed un odore di pesce e salsedine che ormai, per quanto si lavassero e disinfettassero pavimento e pareti, aveva deciso di abitare a vita l’ambiente. Nella cucina vi erano due porte di legno. Una dava alla sala da pranzo, l’altra dava all’esterno, su di un piccolo molo lungo un paio di metri. All’estremità del molo stava legata una barchetta a motore, che José usava la mattina presto per raggiungere le barche dei pescatori al largo e farsi vendere il primo pesce appena pescato, freschissimo, ancora impregnato dell’odore del mare.
José era il cugino di Martín, più grande di lui di un paio d’anni. Era il proprietario del ristorante, ereditato dal padre che l’aveva a sua volta avuto dal nonno. Il papà di José era ancora vivo, ma una brutta caduta lo aveva costretto a letto da diversi anni e tutta la gestione del ristorante era finita in mano al figlio che era ancora un giovanotto. José, per sostituire il genitore, aveva pensato subito di assumere Martín. Sapeva che il cugino era senza lavoro e conosceva la sua passione per la cucina. Dovette istruirlo un bel po’, stargli addosso, fargli qualche lavata di capo ogni tanto, ma Martín imparò in fretta ed ora era un efficientissimo aiuto-cuoco. A completare il personale del ristorante c’era il vecchio Lautaro, un coetaneo del nonno di José che stanco di fare il pescatore, si era proposto all’amico come cameriere e gestore della sala e del portico del ristorante. Era la persona con più esperienza nel locale, ci lavorava da quasi vent’anni e gli altri due lo stavano sempre a sentire. Quando non serviva alle tavole, il vecchio si piazzava nell’angolo più scuro della sala, quasi nascosto e da quel punto osservava minuziosamente, senza emettere nessuna smorfia, ogni singolo movimento che si produceva nel ristorante e, prontamente, reagiva. Se notava che una tavola aveva finito il pane, lo portava subito, prima che gli ospiti lo chiedessero e lo stesso faceva con l’acqua e il vino. Lasciava la gente accomodarsi e immediatamente portava il menù, si allontanava e ritornava per l’ordine prima che le persone lo chiamassero, appena le facce sedute al tavolo lasciavano trasparire quella smorfia di soddisfazione che i commensali producono quando hanno scelto e già pregustano il piatto da ordinare. Appuntava le richieste di ogni cliente scrupolosamente, passandole poi al dettaglio a José e Martín, pressandoli ogni due minuti affinchè si sbrigassero a preparare i piatti, dando dettagli chiari sulle maschere di impazienza degli ospiti che aspettavano di mangiare. José e Martín lo consideravano un pò come il loro capo, riconoscendogli l’esperienza che portava sulle spalle e si sentivano sicuri con lui alla guida.
I due ragazzi sgobbavano da parecchio ultimamente. Da poco meno di sei mesi erano rimasti soli in cucina. Prima erano in tre: Martin, José e il suo fratello minore, Daniel, che li aiutava nelle pause dagli studi come addetto al lavaggio dei piatti e delle stoviglie.
Da maggio Daniel non si era più fatto vedere, e non si avevano più sue notizie. Non si sapeva proprio cosa poteva essergli accaduto. In paese era conosciuto quale bravo ragazzo, tipo tranquillo, studente appassionato. Era un tipo alto, con la barba lunga e gli occhiali. Il lavoro nel ristorante non gli piaceva, si vedeva, ma lo svolgeva volentieri perchè lo aiutava a guadagnarsi i soldi che gli permettevano, anche con l’aiuto dei genitori, di comprare i libri per studiare sociologia all’università di Puerto Florindo, la città vicina. Ultimamente si era pure interessato di politica. Appena sparito, erano iniziate subito le ricerche in tutta la regione e amici e parenti avevano perfino scandagliato i primi cento metri di costa, ma senza risultati. Dopo un mese le ricerche erano state sospese e le malelingue erano fiorite di gran lena in tutto il paese. C’era chi diceva che Daniel avesse un’amante e che fosse scappato con lei nella notte, lasciando la moglie e il figlioletto prima che lo scoprissero. Qualcun’altro asseriva addirittura che probabilmente doveva essere immischiato con il traffico di droga e di armi e che fosse stato eliminato da qualche banda rivale. Una marea di opinioni ed ipotesi. E poi c’era pure un’anziana signora, mezza matta, che viveva a poche decine di metri dalla casa del ragazzo, che giurava di averlo visto una sera di ritorno da una riunione del partito socialista locale salire su una macchina scura, probabilmente un Falcon. Anzi più che salire, aveva detto la signora, un paio di uomini che sembravano poliziotti l’avevano preso e l’avevano spinto dentro. In tutto San Geronimo nessuno aveva voluto prendere sul serio la vecchia, nemmeno i familiari, e qualcuno l’aveva addirittura accusata di vilipendio alle forze dell’ordine. Altri, più pacati, tra cui il sindaco, l’avevano tacciata quale vittima di demenza senile. In poco tempo l’accaduto era stato accantonato, preda d’un oblio collettivo che come una pennellata di bianco copre un alone di sporco sul muro di una cucina. Il giovane Daniel entrò rapidamente a far parte di quella schiera, ormai numerosa, di poveri ingrati che, nell’immaginario collettivo degli abitanti di San Geronimo, erano troppo agitati per apprezzare la tranquillità del piccolo villaggio e avevano preferito cercare maggior fortuna altrove.
Tutti, alcuni controvoglia, si erano messi il cuore in pace.
L’unica persona che non riusciva a metterci una pietra sopra era Lautaro. Anche il vecchio si recava una volta al mese nella cittadina di Puerto Florindo, a circa due ore dalla costa, a fare acquisti per il ristorante. Parlando con la gente, mentre si riposava nei bar, aveva saputo che anche in città erano scomparse altre persone. Nessuno ne sapeva più niente da tempo e i ricercati non avevano lasciato tracce o indizi che potessero mettere i familiari o le autorità su piste adeguate a ritrovarli. Ma si trattava pur sempre di giovani comparabili con lo scomparso di San Geronimo, studenti ed operai scontenti che avevano lo strano vizio di frequentare partiti, sindacati e cooperative di lavoratori.
A Lautaro tutte queste sparizioni improvvise non quadravano e a forza di rimuginare gli era venuto il dubbio, assurdo, che tutte queste sparizioni avessero qualcosa a che fare con gli eventi complessi e lontani che qualche tempo prima erano accaduti a Santiago, la capitale. Un luogo distante che nessuno da quelle parti aveva mai visto, così remoto da non credere alla sua esistenza.
Un certo generale Ortenas aveva conquistato il potere da poche settimane, con un colpo di stato plateale che aveva destituito il governo popolare recentemente scelto nelle elezioni democratiche. Lautaro si ricordava di averlo visto, il generale. Era stato in uno dei suoi viaggi a Puerto Florindo, aveva sbirciato la sua foto in un giornale. Ricordava il viso appuntito dell’uomo, la carnagione chiara. Nella foto l’ombra del berretto da comandante gli copriva leggermente la metà del viso sopra il naso, finendo all’altezza dei baffi. Lo sguardo era severo. Lautaro ricordava di aver sentito una sensazione di fastidio nel guardare la foto, la stessa che provava quando un cliente del ristorante lo trattava in modo arrogante. Le poche notizie che arrivavano sulla costa raccontavano che il giorno del colpo di stato, nella capitale c’era stata molta confusione, addirittura degli scontri armati ed anche alcuni morti. Ma ben poco si sapeva di queste cose nella cittadina ed ancor meno a San Geronimo, troppo lontano e piccolo per sentirsi anche solo scalfito da eventi di questa portata. La vita scorreva serena, senza agitazioni ed intoppi tra le case colorate sulla costa. Era sempre stato così e anche questo caso non faceva eccezioni. Qualcosa sarebbe successo e Daniel sarebbe riapparso.
Ma Lautaro no, continuava ad insistere. Un giorno si ed uno no ossessionava Josè e Martìn, discutendo con loro nella cucina. Cercava di controllarsi ma gli riusciva difficile e nonostante gli sforzi dei due colleghi per arginare le sue farneticazioni, finì per perdere la testa. Ogni santo giorno terminava per alzare la voce, rabbioso, dicendo che era stato Ortenas a portarsi via Daniel, a farlo rapire. Non sapeva perchè ma bisognava fare qualcosa. Blaterava ed imprecava contro il governo, contro il paese, contro Josè e Martin che non volevano ascoltare e li chiamava vigliacchi. I due ragazzi all’inizio lo stavano ad ascoltare ma poi, stanchi delle continue arringhe del vecchio, iniziarono a non badargli e lo tolleravano indispettiti, aspettando impazienti, immersi nel lavoro, che arrivassero i clienti a distrarlo. Speravano che prima o poi Lautaro si sarebbe calmato ma invece, col passare del tempo, divenne incorreggibile. Non voleva smettere, era sicuro di ciò che diceva e pensava. Non poteva tollerare l’immobilità dei suoi compagni di lavoro, la loro cecità e la decisione di rinunciare a capire. A volte persino non gli riusciva di dormire la notte, tanto era forte il ricordo di Daniel. A quel ragazzo aveva sempre voluto molto bene e gli piaceva ricordare quando tornavano a casa assieme al pomeriggio, risalendo le stradine ciottolate del paese che odoravano di salsedine.
Le cose andarono avanti così per molti mesi, finché Lautaro stesso si rese conto che stava impazzendo. Si sentì solo nella lotta e, poco a poco, le forze lo abbandonarono. Si arrese e si lasciò risucchiare dall’indifferenza in cui il paese intero era caduto.
La rabbia che portava dentro finì per assopirsi. Il vecchio ritrovò la calma e ormai non infastidiva più Josè e Martìn. I ragazzi si sentivano più tranquilli, nel ristorante era tornato l’equilibrio e per diversi mesi, si dimenticarono nuovamente di Daniel.
Ed è proprio a questo punto, quando ogni barlume di lotta giace ormai come tizzone di brace morente, che questa storia ha veramente inizio.
Un venerdì pomeriggio Lautaro stava seduto nel solito bar vicino alla stazione di Puerto Florindo, aspettando l’autobus per tornare a San Geronimo, carico di acquisti per il ristorante. Si sentiva stanco dopo l’intensa giornata e vagava con la mente tra i molti ricordi dei suoi ormai settant’anni. Bestemmiava tra sé e sé, prendendosela con la sua inevitabile condizione di lavoratore eterno, costretto a svegliarsi tutte le mattine per sgobbare, quando ormai tutto ciò che chiedeva era di restare tranquillo a dormire fino a tardi, alzarsi e decidere come spendere il resto della giornata.
Mentre vaneggiava, ripensando a molte scene della sua vita, il ricordo di Daniel riaffiorò nella sua mente, come un oggetto perduto in mare che le acque restituiscono alla spiaggia dopo molto vagare. Precisamente si ricordò di una mattina in cui, in una pausa dal lavoro, avevano chiacchierato nella piccola cucina, mentre il ragazzo lavava i piatti. Anche quel giorno il vecchio si sentiva stanco e lo raccontava a Daniel. Ricordava come il ragazzo l’avesse guardato con stima, con sorpresa e l’avesse incoraggiato, dicendogli quanto fosse importante la sua presenza per il ristorante. Senza di lui, diceva Daniel, tutto sarebbe andato a farsi fottere, perché nessuno aveva la sua pazienza ed esperienza. Si ricordò di quanto bene gli avevano fatto quelle parole, di come fosse uscito rinfrancato dalla cucina per rimettersi a lavorare di buona lena. Daniel era proprio un bravo ragazzo, pensò, e mentre lo rivedeva piegato sull’acquaio lavando i piatti, inzuppato d’acqua, si rese conto che era davvero un bel pò di tempo che non pensava a lui. Ci era cascato, pensò. L’aveva scordato, messo da parte, si era fatto risucchiare dalla paura di ricordare, dalla necessità di andare avanti. Si vergognò, si arrabbiò e commosse. Alzò la testa verso l’alto per cercare di trattenere le lacrime, aprendo bene gli occhi per fare in modo che le palpebre non spremessero le gocce che si erano formate sul bordo degli occhi, facendole scivolare sulle guance.
Senza volerlo, incrociò la televisione. Nella scatola di plastica e vetro stava passando il telegiornale e, ancora una volta, come riemersa dall’oblio, si materializzò la scura ed elegante figura di Ortenas. Una smorfia di sdegno trasformò lo sguardo del vecchio. Sullo schermo scorrevano diverse immagini del dittatore: lo si vedeva mentre parlava da un palco, stringendo mani di politici, firmando documenti e passando in rassegna truppe ferme sull’attenti. La voce fuori campo, che accompagnava il servizio, parlava di una legge recentemente approvata che privatizzava non si sa cosa. Lautaro non potè arrivare ad ascoltare oltre, perchè giusto in quel momento un autobus partì rombando dalla stazione, interrompendo per un momento il flusso di suoni che provenivano dall’apparecchio. Quello che riuscì ad ascoltare fu il seguito. La voce femminile spiegava che il dittatore, nei giorni seguenti, sarebbe stato in visita a Valladolid, capoluogo della regione del Pacifico, per incontrare il sindaco della città e discutere con lui della costruzione di una strada a scorrimento veloce che avrebbe connesso le cittadine e villaggi della costa. Lautaro si stupì profondamente ed ebbe un sussulto. Valladolid si trovava a meno di trenta chilometri da Puerto Florindo. Il vecchio sentì i muscoli del collo che gli si irrigidivano. La persona che più odiava al mondo si trovava a portata di mano. Un senso di forte frustrazione si impadronì di lui. Che diavolo poteva fare? Nulla, questa era la maledetta risposta. Rimase a scervellarsi per tutto il viaggio sulle diverse maniere in cui avrebbe potuto fare a pezzi Ortenas quando se lo fosse trovato tra le mani. La notte si addormentò esausto e dormì agitato.
Il giorno seguente, all’arrivo a San Geronimo, si svegliò acciaccato e con poca voglia di andare al ristorante. Quando arrivò al lavoro e si incontrò con le facce assonnate di Martìn e Josè, i due ragazzi gli fecero così pena che decise di non fare una parola su Ortenas. Pensò che tutti i pensieri della sua tormentata notte fossero solo sogni. Lui e quei due ragazzi, per quanto rabbiosi fossero nel profondo del loro cuore, non erano altro che tre poveri diavoli sconosciuti della costa pacifica, che lavoravano in un ristorante che non conosceva nemmeno dio. Cosa avrebbero potuto fare?
Sospirò a fondo, salutò rapido e si diresse a preparare i tavoli nella sala.
La giornata trascorse tranquilla e Lautaro si dimenticò di Ortenas e dei suoi pensieri di vendetta. Alla sera si recò a casa, passò la notte sereno e il giorno seguente si svegliò rilassato.
Erano quasi le nove del mattino, il sole era alto già da un pezzo. Si vestì con calma, fece colazione con la moglie e si diresse al ristorante dove si mise subito al lavoro. Una volta preparate le tavole, spazzò il pavimento e pulì i vetri, quindi si mise ad aspettare l’arrivo dei primi clienti. Alle undici in punto la porta si aprì ed entrarono tre pescatori, avventori abituali. Sapeva già quello che avrebbero ordinato. Qualche minuto dopo arrivarono in massa altre sette persone, pescatori del posto anche loro. Quindi fu la volta di una famiglia del paese, che era solita andare a mangiare il sabato a mezzogiorno. Lautaro servì tutti con l’efficienza che lo distingueva e quando se ne andavano puliva i tavoli con grande velocità ed accoglieva i nuovi clienti. Verso le due del pomeriggio non arrivò più nessuno e solo una coppia di turisti che stavano passando le vacanze a Santa Clara, una località balneare a circa tre chilometri da San Geronimo si stava trattenendo, sorseggiando uno digestivo, seduta al tavolo. Lautaro non vedeva l’ora che se andassero, per sistemare l’ultimo tavolo e correre a riposare.
D’un tratto, mentre osservava gli sguardi dei commensali, fu distratto da un rumore proveniente dall’esterno. Aguzzò la vista e scorse attraverso la finestra un’auto scura che entrava nel cortile. La vettura frenò facendo scricchiolare il ghiaino e parcheggiò dolcemente davanti alla porta del ristorante. Lautaro protestò tra sé e sé, immaginando già di dover fare gli straordinari. Non sopportava i clienti che arrivavano da fuori senza conoscere l’orario del ristorante. Comparivano sempre all’ultimo minuto, quando uno si sta rilassando ed è già mentalmente sdraiato sul divano di casa, costringendolo invece a lavorare quell’ora in più che ti rovina la giornata.
Decise che avrebbe detto loro, gentilmente, di tornare in un altro momento e spiegato che il ristorante stava per chiudere e che non c’era più pesce fresco per quel giorno. Si alzò deciso ed avanzò verso l’entrata con l’intenzione di accogliere i clienti prima che entrassero nella sala. Fece pochi passi, arrivò davanti alla porta, aprì la bocca per salutare, ma non potè produrre alcun suono. Trasalì e rimase muto, impalato con la bocca spalancata. Dal sedile posteriore dell’auto, che un soldato teneva spalancato, scese un uomo alto e filiforme, dalla pelle rosea e il naso appuntito sopra i folti baffi, avvolto in una divisa militare. Lautaro smise di respirare. Non ebbe alcun dubbio. Il viso del suo nemico abitava la mente del vecchio da troppo tempo ormai. Ne conosceva perfettamente ogni singolo lineamento. Lautaro, con il cuore in gola, si fermò sulla porta senza uscire. Mentre l’uomo in divisa avanzava verso il ristorante, il vecchio si girò di scatto rivolgendo lo sguardo alla sala, per evitare che il suo viso potesse tradire qualsiasi tipo di emozione. Respirò a fondo, mise le braccia dietro la schiena, costrinse il corpo ad una posa elegante e si stampò un bel sorriso sulle labbra. Era pronto per ricevere gli inattesi clienti.
Il militare entrò scortato da due uomini in divisa e da un terzo uomo in giacca e cravatta, di aspetto anche lui familiare, che lo salutò cordialmente. Lautaro rispose al saluto, diede il benvenuto e con il braccio destro invitò gli ospiti ad accomodarsi, descrivendo un ampio semicerchio verso le diverse tavole libere, invitandoli a scegliere quella che consideravano migliore. Mentre gli ospiti si sedevano, il vecchio obbligò la sua mente anziana a scavare nel passato, per cercare di identificare il quarto uomo in giacca e cravatta. Gli era conosciuto, ne era sicuro, l’aveva già visto da qualche parte e si sforzò di individuare nei suoi ricordi una scena che potesse completare quel viso. Nel momento in cui l’uomo lo guardò per ricevere il menù, non ebbe più dubbi. Si trattava del sindaco di Valladolid. Era già stato diverse volte a mangiare al ristorante, anche se dall’ultima visita era passato parecchio tempo. Lautaro focalizzò una scena in particolare tra i suoi ricordi, nella quale l’uomo si complimentava per un piatto di cozze al pomodoro che era uscito piuttosto gustoso. I suoi dubbi sull’identità del militare seduto al tavolo furono così del tutto fugati.
Davanti a lui, pronto per pranzare come in ogni qualsiasi altro giorno della sua vita vi era Ortenas in persona, il dittatore.
Immediatamente pensò a Daniel, trattenne l’emozione che gli stava friggendo lo stomaco e realizzò l’immensa opportunità che la vita gli aveva appena messo tra le mani. Si compose e mezzo secondo più tardi disse:
“Lascio i signori decidere tranquilli”.
Detto questo, controllandosi a fatica e deglutendo saliva acida, si diresse verso la cucina cercando di mantenersi lucido e di non correre per non destare sospetti tra gli ospiti.
Entrò nella stanza e, con molta calma, richiuse dolcemente la porta dietro di sé. Inspirò ed esalò a fondo l’odore di pesce, aglio e prezzemolo. Martin e Josè non lo avevano degnato di uno sguardo, ormai abituati all’entrare ed uscire del vecchio dalla cucina. Dovevano decidere che cosa fare, subito, avevano poco tempo. Ad ogni secondo che lasciava passare sentiva che il destino gli stava scivolando dalle mani come un’anguilla.
Si fece forza, si avvicinò a Josè e lo prese per il braccio destro, gli fece segno con la testa di seguirlo e raggiunsero Martin che stava lavando i piatti. I due ragazzi lo guardarono interroganti. Lautaro li osservò entrambi negli occhi e dopo aver deglutito, disse sottovoce:
“C’è il bastardo!”
“Chi?”, risposero allibiti i due giovani.
Il vecchio non si fece intimorire ed insistette:
“C’è il bastardo del dittatore. Ortenas!”, ripeté, strozzando una risata in un mugolio selvaggio, il viso rosso paonazzo.
“Ma che diavolo dici?”, replicò Josè, già irritato, convinto dell’ennesimo delirio del collega.
“Te lo giuro su dio! E’ lui, ne sono sicuro. Sta seduto nella sala e sta per ordinare”, rispose ansimando Lautaro, gridando a voce bassa.
“Mai sei impazzito? Che diavolo ci viene a fare il presidente nel nostro ristorante dimenticato da Cristo? “, disse Martìn, divertito
“Vi dico che è lui, per dio! Ne sono sicuro! L’ho ric…”
“Basta vecchio””, interruppe Josè, seccato, “Ci stai facendo diventare matti. Come fai a sapere che è lui se non l’hai mai visto?”
“Certo che l’ho visto, piccolo miscredente!”, disse allora il vecchio con il petto che gli ardeva, stringendo forte il braccio del giovane, “L’ho visto sui giornali ed in televisione, a Puerto Florindo, è assieme al sindaco di Valladolid, per dio! L’ha portato qui lui, ne sono sicuro. Lui viene spesso a mangiare qui, andate a vedere se non ci credete! Spiate fuori dalla finestra della cucina, brutti caproni, e vedrete se non ho ragione.”
I giovani, increduli, si avvicinarono alla finestrella della cucina che guardava la sala da pranzo, quella da cui passavano i piatti a Lautaro. Osservarono il gruppetto con attenzione.
Ci volle qualche secondo, ma confermarono l’opinione del vecchio. L’uomo seduto al tavolo era il sindaco di Valladolid.
“Va bene, è il sindaco”, disse Josè, “ma come facciamo a sapere che c’è anche Ortenas con lui?”
“Ve lo dico io, lo so, l’ho visto, è uguale e due giorni fa la televisione diceva che oggi sarebbe stato a Valladolid. Sicuramente il sindaco l’ha portato qui.”
Seguirono attimi di silenzio e di tensione. I due ragazzi si guardavano increduli. Poi Martìn, come uscito da un sogno, disse:
“Sei sicuro, vecchio? Ti prego, diccelo ancora, sei sicuro che quell’uomo seduto a fianco del sindaco è Ortenas?”
“Te lo giuro su mia figlia, ragazzo!”, rispose il vecchio baciando indice e medio incrociati.
I due giovani rimasero qualche secondo a pensare, attoniti. Non ci potevano credere. Iniziarono a respirare sempre più agitati e nel giro di pochi secondi il loro dolore, come risvegliato da un letargo, riemerse a pungere e quindi ad invadere il loro cuore, la mente, i tendini e i muscoli. Sentirono il viso caldo, di eccitazione e di rabbia.
“Cosa facciamo?”, disse Josè,
“Facciamolo secco!”, disse il vecchio senza esitare,
“Si, facciamolo fuori!”, aggiunse eccitato Martìn
“Come?”, disse Josè, “Non è che possiamo correre fuori e saltargli addosso!”
“Avvelaniamolo!”, disse Lautaro
“Sei pazzo! Con cosa? Non abbiamo veleno”, aggiunse Martìn
“Il veleno per i topi? Ne abbiamo ancora?”, chiese Josè
“Certo”, aggiunse Martin, “sotto al lavandino, è dentro a quel vecchio barattolo di paprica. Ma funzionerà?”
“Non lo so, proviamoci, almeno gli pro…”
La porta della cucina si spalancò di colpo. I tre gestori, sorpresi nel loro territorio, videro una figura scura stagliarsi davanti a loro.
“I signori vogliono ordinare!”, intimò l’uomo, ruvido. Era uno dei due soldati che accompagnava il dittatore. “Sia così gentile da venire a prendere gli ordini, vecchio!”, concluse minaccioso.
“Sissignore!”, rispose Lautaro, quasi battendo i tacchi.
Uscì insieme al soldato e in pochi secondi fu davanti al tavolo, con il taccuino in mano.
“Cosa vogliono mangiare i signori?”, chiese con calma.
Ortenas alzò la vista dal menù e con fare autoritario chiese:
“Qual è la specialità della casa?”
“Sopa de langostinos”, rispose Lautaro, senza esitare.
“Allora me ne porti una”, disse il militare e dopo una breve pausa aggiunse:
“Il mio amico qui presente, onorevole sindaco di Valladolid, mi ha detto questa mattina che il vostro è uno dei migliori ristoranti della costa. Spero non ci deluderete”, concluse, aggiungendo una piccola risata, per dare un tono goliardico alla sua dichiarazione.
“Chi assaggia il nostro cibo, ritorna. Questo è il nostro motto”, rispose Lautaro, sempre senza esitare. Quindi aggiunse:
“E per il signor sindaco, cosa portiamo?”
“L’ultima volta che sono stato qui ho mangiato i calamari fritti, erano ottimi, quindi perchè non fare il bis”, rispose il sindaco.
Lautaro annotò il piatto. I due soldati ordinarono a loro volta calamari fritti ed un ceviche mixto. Lautaro scrisse con scrupolo gli ordini e propose una buona bottiglia di vino bianco per accompagnare il pranzo. Gli ospiti accettarono con piacere. Tra loro ed il cameriere si era creato un legame di confidenza.
Lautaro ringraziò, si allontanò e portò il pane. Stava per dirigersi verso la cucina quando il sindaco lo interruppe e lo apostrofò con fare formale:
“Amico, mi permetta di disturbare il suo lavoro. Immagino si sarà lei accorto del grande onore a cui il suo ristorante è oggi destinato”.
Il vecchio, trattenendo a stento l’eccitazione, osservò con la coda dell’occhio la finestrella della cucina, scorgendo le ombre di Josè e Martìn, che ascoltavano attentamente. Quindi, con pacatezza, rispose:
“Scusi signor sindaco, come dice?”
Il sindaco, con una smorfia di rimprovero, aggiunse: “Non mi dica che non ha riconosciuto il nostro onorevole presidente della repubblica”, e indicò con un ampio gesto delle braccia il generale seduto al suo fianco.
Nel petto di Lautaro esplose una bomba. Il viso divenne rosso paonazzo. Era la conferma che aspettava. Abbassò la testa e rispose con umiltà:
“La prego di perdonarmi, eccellenza. In questo paese siamo ignoranti. Quasi non arrivano giornali ed io non ho la televisione in casa. Non avevo idea che fosse il presidente. E’ un onore per noi averlo qui. Mi scusi nuovamente.”
“Per carità, non si preoccupi, amico”, rispose allora il generale, con tono accomodante. “La capisco. Le prometto che lavoreremo per fare in modo che la televisione e i giornali arrivino anche qui e lei possa essere sempre informato. Ma nel frattempo, non vedo l’ora di provare la vostra cucina, così famosa nella costa.”
“Grazie signore, ci auguriamo che sia suo gradimento”, disse il vecchio e fece per andarsene, quando il dittatore lo interruppe nuovamente.
“Mi scusi ancora, cameriere”, interloquì serio, stavolta. “Come si chiama?”
“Lautaro Valverde”
“Signor Valverde, come lei può ben immaginare, un uomo della mia posizione ha molti nemici. Spero che il cuoco non si offenderà se uno dei miei attendenti lo accompagnerà nella cottura dei piatti. Non è per sorvegliare, mi fido di voi, ma non si sa mai, è… per evitare problemi. Capisce?”
“Capisco signor presidente, non c’è nessun inconveniente”, rispose il vecchio, morendo dentro.
“Carreras, sia così gentile da seguire il signor Lautaro nella cucina per favore”, disse quindi il generale, rivolto ad uno dei due soldati che lo accompagnavano.
Il militare si alzò e accompagnò il vecchio nella cucina.
Trovarono Martìn e Josè nella loro classica posizione di lavoro, come se nulla stesse accadendo.
“Martìn! José!”, disse Lautaro rivolgendosi ai ragazzi, “Abbiamo l’onore di ospitare nel nostro umile ristorante il presidente della repubblica. Questo signore ci accompagna nella preparazione dei cibi. Abbiamo due calamari fritti, un ceviche mixto e per il signor presidente la specialità della casa: sopa de langostinos. Facciamo in modo che sia di suo gradimento.”
I due giovani annuirono e si misero all’opera. Lautaro ritornò al tavolo per portare il vino e le stoviglie. Sotto lo sguardo attento della guardia presidenziale che spostava gli occhi prima sull’uno e poi sull’altro, Martìn e Josè si muovevano rapidamente, procurandosi gli ingredienti necessari per la preparazione dei piatti. José estrasse dal frigorifero due porzioni di calamari, dispose la farina sulla mensola della cucina ed iniziò ad impanarli. Martìn, al suo fianco, mise a bollire il brodo di verdure che aveva preparato la mattina, base per la sopa di langostinos. Mentre l’acqua si scaldava estrasse dal frigo una porzione di scampi e li lavò con attenzione. Quindi li mescolò con aglio tagliato fino e prezzemolo e li lasciò a riposare in un piatto a fianco del forno. Lautaro entrò nuovamente nella cucina, disse ai ragazzi di sbrigarsi e si mise a chiacchierare con il soldato di guardia. Il militare rispondeva alla sue domande senza togliere gli occhi dai cuochi. Dopo pochi minuti, con una scusa qualsiasi il vecchio uscì di nuovo nel salone. Nel frattempo José aveva impanato i calamari e li gettò a friggere, una manciata alla volta, ascoltando lo scrosciare dell’olio caldo che aggrediva la carne dei molluschi. Martìn tagliò a fette cinque pomodori, li pestò con una forchetta e li mise a bollire assieme al concentrato della zuppa. Mentre i calamari friggevano, José pensò di preparare il piatto di ceviche. Il pesce stava cucinandosi dalla mattina presto immerso nel limone in una vecchia bacinella smaltata. Josè si avvicinò ed estrasse una porzione con un grosso cucchiaio di legno. Lautaro rientrò nella cucina con in mano i piatti degli ultimi clienti che avevano appena lasciato il locale ed urtò il militare con il gomito, distraendolo. Martìn mescolava la zuppa ormai bollente e approfittò dei pochi secondi di distrazione del soldato, si chinò e raccolse da sotto il lavandino il barattolo di paprica pieno di veleno per topi. Senza scomporsi minimamente o rallentare il suo movimento di cuoco professionista, ne versò una grossa manciata nella pentola bollente, assieme al sale e al pepe. Quindi richiuse il barattolo, lo sistemò sotto il lavandino, prese il piatto di gamberoni impregnati di prezzemolo ed aglio e lo versò nella zuppa. José posizionò il ceviche in un piatto, decorandolo con patate lesse e foglie di prezzemolo. Era pronto e lo mise da una parte. Estrasse i calamari dalla friggitrice e li sgocciolò. Quindi li distribuì su due piatti accompagnandoli con fette di limone e riso in bianco. Lautaro rientrò in cucina e prese in consegna i tre piatti. Uscì e si avvicinò al tavolo. Consegnò al soldato il suo piatto di ceviche e i calamari al sindaco. Il piatto restante lo lasciò nel posto del militare che si trovava ancora di guardia.
Il vecchio tornò in cucina con il cuore che gli sobbalzava nel petto. Aprì la porta ed incrociò lo sguardo di Martìn.
“Pronta la zuppa!”, disse il ragazzo, lentamente, scrutando il vecchio.
I loro occhi, per un istante interminabile, penetrarono uno dentro quelli dell’altro.
“Dammi qua!”, disse il vecchio e si diresse verso il tavolo dove stava la zuppa. Martìn l’aveva versata in un ampio piatto fondo, decorandola con due pezzi di pane tostato ai bordi. Lautaro prese il piatto e guardò nuovamente negli occhi Martìn. Si sorrisero con lo sguardo. Quindi, senza più batter ciglio, si girò ed entrò nel salone seguito dalla guardia.
Lautaro dispose il piatto davanti a Ortenas e gli augurò buon appetito. La guardia si accomodò di fianco al presidente e tutti iniziarono a mangiare, mentre il vecchio si ritirava nella cucina, ormai sfiancato dalla tensione. Tutto era accaduto così in fretta che non ci poteva credere.
Il sindaco e il soldato di guardia alla cucina riempirono di limone gli anelli dei calamari ed iniziarono a sgranocchiarli avidamente. Il secondo soldato si versò un bicchiere di vino ed addentò il suo ceviche, bello piccante e sugoso. Ortenas, dopo aver soffiato sul piatto per un paio di minuti, portò alla bocca un cucchiaio pieno di zuppa e prese tra le mani uno scampo, iniziando a succhiarlo avidamente. Tutti mangiavano, guardandosi negli occhi a tratti ed esternando smorfie di soddisfazione, apprezzando e spremendo bene il cibo sul palato, rigirandolo con la lingua per godere intensamente del sapore.
Dopo qualche minuto Ortenas tossì appena, come quando si ingoia e il cibo scende dalla parte sbagliata. Nessuno ci fece caso, nemmeno lui. Continuò a mangiare finchè sentì nuovamente un pizzicotto alla base della gola. Appoggiò il cucchiaio sul tavolo, si schiarì la voce e bevette un sorso di vino. Riprese nuovamente il cucchiaio, lo affondò nella zuppa e lo portò alla bocca. Ingoiò. Il suo viso si era fatto leggermente violaceo, ma tutti lo attribuirono all’elevata temperatura della minestra. Portò alla bocca un’altro cucchiaio, ma stavolta non poté deglutirlo. Tossì forte e sputò la zuppa ed una porzione dello scampo che aveva messo in bocca. Tossì nuovamente e, questa volta, il suo corpo ne uscì sconquassato. Da quel momento non si potè più fermare. Iniziò a respirare affannosamente, sempre più agitato, sotto gli sguardi ormai preoccupati dei commensali. La gola gli si stringeva ad ogni secondo che passava, sempre più stretta, finchè provò una sensazione terrificante, come un taglio, un coltello conficcato alla base della gola, che gli penetrava nel petto, tagliandogli il respiro all’altezza dello sterno, crepandogli il cuore.
Il dittatore entrò in panico ed iniziò a gesticolare. I due soldati si alzarono e lo sdraiarono a terra soverchiati dal suono agghiacciante del suo respiro. Il sindaco, incredulo, rimase seduto sulla sedia, immobile come statua di cera, la forchetta con infilzato un calamaro sospesa a mezz’aria. Non mosse un dito mentre le due guardie picchiavano sulla schiena del dittatore, gridando come forsennati, preda del panico. Ortenas perse i sensi. Il soldato della cucina gli aprì la camicia ed iniziò a massaggiare il petto, poi a respirare nella bocca del dittatore, quindi ancora a massaggiare il petto, poi di nuovo la respirazione bocca a bocca.
Nulla poteva fermare il rantolo di morte che proveniva dall’uomo steso a terra.
Il secondo soldato, in un attimo di lucidità, si alzò dal pavimento e corse verso la cucina. Aprì la porta con un calcio. Si guardò attorno. Stoviglie, pentole sporche, rimasugli di pesce e nell’angolo in fondo, seduto su di una sedia, stava Lautaro, con lo sguardo fisso verso il muro davanti a lui.
Il vecchio, in uno stato di contemplazione, guardava una foto appesa alla parete. Era un’immagine di qualche mese prima. Si vedevano lui e Daniel, davanti alla porta del ristorante, mentre sorridevano alla macchina fotografica di un turista, abbracciati l’uno all’altro.
Lautaro si ricordava bene di quel giorno, era una mattina tersa di dicembre inoltrato e guardando attentamente nel mare, all’orizzonte, si potevano scorgere le schiene grigiastre delle balene, che spruzzavano l’acqua vaporosa nell’aria.
Josè e Martìn erano ormai lontani. Appena il vecchio aveva servito i piatti erano usciti sul piccolo molo, saltati sulla barca e scomparsi all’orizzonte, come inghiottiti dal mare.
Ma Lautaro no. Era troppo felice per fuggire. Non poteva smettere di sorridere.
Sorrideva persino la mattina in cui lo fucilarono.
Bellin Nicola / 2019