
Avvenne tutto nell’arco di pochi giorni. Come se una mano invisibile l’avesse riplasmata o come se ci fossimo trasferiti all’interno di uno specchio, la terra cambiò.Terribili terremoti scossero il nostro pianeta, gigantesche onde travolsero le pianure, riversandosi violentemente nelle città, mentre le fosse marine si innalzavano a montagne, finalmente libere di abbracciare il sole. Quasi nello stesso istante, le montagne cedettero, risucchiate dalla gravità che fino a quel momento avevano sempre contrastato, diventando oscuri abissi.
Quasi sei miliardi di persone morirono in quei terribili giorni, mentre noi, sfortunati sopravvissuti, fummo costretti a vagare per lande sconosciute, perennemente coperte da una leggera nebbia, stranieri nella nostra stessa terra.
Vivevamo in gruppi di poche persone, spostandoci senza sosta alla ricerca di quel poco cibo che riuscivamo a trovare, facendoci strada nel terreno paludoso del vecchio fondale marino, rovistando tra le rovine del nostro vecchio mondo e di un mondo ancora più antico, ricolme di tesori ormai senza nessun valore.
Fu una sera, tra queste rovine, sotto un cielo perennemente coperto da nubi, che le vedemmo: migliaia di piccole luci sospese nel cielo, stelle intrappolate nella nebbia, fari di qualcosa che, ora so, essere terribile.
La mattina successiva ci incamminammo nella direzione delle luci, nella speranza di rivederle la notte successiva. Non restammo delusi. Continuammo con questa sorta di inseguimento del gatto con il topo per settimane, trascinandoci nel fango, circondati da un oscuro muro, impalpabile, conficcato nelle nostre ossa. Il freddo era perenne e ci avvolgeva con il suo gelido manto, incitandoci a proseguire con la speranza di un fuoco, un pò più avanti, passo dopo passo.
Arrivò finalmente l’ultima sera di inseguimento, un’ombra che ci avvolse, il presagio di qualcosa di terribile che noi non capimmo, stremati dal continuo arrancare tra melma e rocce. Nel silenzio.
Ci accampammo a ridosso di un vecchio muro distrutto e, dopo aver controllato la posizione delle luci, il sonno ci colse impedendoci di notare le ombre che scivolavano intorno a noi.
Il sole sorse, portando con se l’inizio dei nostri incubi. Ci svegliammo circondati da decine di esseri incappucciati, spettrali figure ammantate, con maschere dalle fattezze mostruose, che ci presero portandoci via. Provammo a comunicare con gli esseri, ma venimmo perennemente ignorati. Camminammo per ore, senza possibilità di riposo e, quando pensavamo che saremmo morti, la nebbia si aprì di fronte a noi, rivelandoci qualcosa di meraviglioso e mostruoso; una montagna si innalzava di fronte a noi, coperta da alberi dalle forme sconosciute, un incrocio tra alghe e piante di dimensioni gigantesche, le cui ombre si insinuavano nella nostra mente portando con sé immagini e idee spaventose.
Ci incamminammo lungo un sentiero che saliva dolcemente, inoltrandosi tra quelle abominevoli piante, che riversarono nelle nostre menti incubi così reali, che si sovrapposero alla realtà, trascinandoci in allucinazioni di figure mostruose, che vivevano al limite del nostro campo visivo, impedendoci di distinguerle chiaramente. Non so quanto tempo passò, ma all’improvviso tutto finì. Ci risvegliammo in uno stretto passaggio quadrato, le cui superfici levigate emanavano una bianca luce,illuminandolo così intensamente che faticavamo a tenere gli occhi aperti, come se decine di soli brillassero in quel piccolo spazio.
Passammo dalle allucinazioni oscure alla luce più intensa, in una sorta di viaggio dall’inferno al paradiso, dei moderni Dante guidati da un misterioso Virgilio, nella speranza di trovare alla fine del tunnel la salvezza tra le braccia di Beatrice.
Ad un tratto, come era iniziato, il tunnel finì, aprendosi sul fianco di un’immensa caverna cubica, scavata da chissà quali mani, sul cui soffitto brillavano migliaia di quei piccoli soli di cristallo. Mi colpì un pensiero, incredibile nelle sue terribili conseguenze, perché, se eravamo ancora all’interno della montagna, questa fino a pochi mesi fa era una fossa oceanica e non capivo come potesse esserci un caverna.
L’incredulità di questo pensiero venne spazzata via da qualcosa di ancora più meraviglioso: la città che si trovava alla base di questo spazio. Gli edifici avevano tutti forme cubiche, di dimensioni diverse, ammassati senza un’apparente logica uno sull’altro, al centro dei quali si innalzava una torre, composta da sezioni cubiche, sulla cui sommità si trovava un cubo molto più grande e apparentemente, la sua posizione, era perfettamente al centro della caverna. La superficie degli edifici (e di ogni cosa) era di un tenue colore argentato, liscia e lucida, di un qualche materiale simile alla pietra. Le strade della città, strette ed intricate, si snodavano attraverso il disordine degli edifici mentre, dalle finestre quadrate risplendevano luci dai più disparati colori. Mano a mano che ci avvicinavamo ci rendemmo conto delle reali dimensioni di ciò che avevamo davanti: le strutture erano immense, delle dimensioni di piccole colline e le strade che ad un primo momento ci sembrarono piccole e strette, in verità potevano benissimo competere con le nostre vecchie autostrade.
Appena entrammo in città, gli esseri misteriosi si tolsero le maschere e rimanemmo colpiti dal fatto che erano uguali a noi, semplici esseri umani, se non fosse che guardare nei loro occhi era come sprofondare in oscuri incubi di antichi popoli, di sofferenze e sacrifici, immergendosi in acque sconosciute senza aria nei polmoni, arrancando per raggiungere una superficie che non esiste. Il loro colore era un riflesso degli occhi di chi li guardava, più intenso e profondo, testimoni di un qualcosa che non dovrebbe essere visto. Forse, quando gli antichi greci descrissero medusa, videro uno di questi esseri, perché, in quel momento, nessuno di noi riuscì a muoversi.
Stavamo ancora cercando di riprenderci da ciò che avevamo appena visto quando entrò, quasi saltellando, un altro essere, molto magro, consunto. Il suo viso aveva un che di famigliare, con i lineamenti che ricordavano qualcuno ormai dimenticato, simile a noi ma in qualche modo diverso e, negli occhi, una strana luce di follia, che li rendeva allo stesso tempo meno innaturali ma molto più inquietanti. Ci fece cenno di seguirlo e, con un incredibile sforzo, riprendemmo la nostra marcia, soffocati dalla maestosità di ciò che ci circondava, sentendoci come formiche che osservavano il gigantesco mondo intorno a loro, semplici atomi in qualcosa di molto più complesso.
Camminammo ancora a lungo, in questa sorta di labirinto, e dubitavo che saremmo riusciti a spostarci da soli senza perderci, attraversando grandi strade e piazze, senza mai incontrare altri esseri, ma sentendo numerosi sguardi che ci seguivano, leggeri soffi che alimentavano la nostra paura. Arrivammo infine ad un immenso portone, alto venti o forse venticinque metri, fatto di metallo grezzamente lavorato, su cui erano incastonati grandi pezzi di corallo, come se le gigantesche mani che lo forgiarono si fossero tagliate, intrappolando per l’eternità gocce del loro sangue. La porta iniziò lentamente ad aprirsi, ruotando con stridore su cardini invisibili, urlando le sue memorie, dando una voce a quegli occhi che tanto temevamo.
Avanzammo all’interno, squarciando con i nostri corpi una densa oscurità, passo dopo passo, cercandoci uno con l’altro, ma non riuscivamo a sentire neanche il nostro respiro. Ad un tratto si aprì di fronte a noi un’immensa luce e, per un breve istante, ci parve di essere al sicuro, ma poi tutto ripiombò nel buio.
Mi risvegliai al centro di una grande sala, mani e piedi legati con catene saldamente fissate al pavimento, di fronte a me un grande braciere ardeva e, in piedi al suo fianco, l’essere che era venuto a prenderci. Ad un tratto un turbinio di immagini comparvero nella mia mente:
Il mio viso, il viso dell’essere, immagini nella sua mente che entrano nella mia, immagini nella mia che entrano nella sua.
Gli domandai cosa volesse da me, e di nuovo le stesse immagini comparvero nella mia mente. Gli chiesi ancora, ancora e ancora cosa volesse da me, e lui mi rispose sempre con le stesse immagini. Ed infine capii:
Io al centro della stanza, polsi e caviglie legate, sangue, l’essere vicino a me, mani e piedi liberi, io torno a casa con i miei compagni, fuga dalla montagna.
L’essere ride e scuote la testa, i miei compagni morti, uccisi da lui, pezzi ovunque, sacrificio, fuoco, ferro incandescente, altare di pietra, figure nell’ombra, io sull’altare, vittima, ferro nel mio cuore.
Io in lacrime, inginocchiato, supplica, mani e piedi liberi.
Lui mi fissa con sguardo crudele, arrabbiato, io in piedi, avanzo verso l’altare, sguardo sicuro, felice, accetto il sacrificio.
Io arrabbiato, mi libero, gli salto addosso, le mie mani sulla sua gola, il suo sguardo che si spegne.
Il suo sorriso beffardo, sguardo di sfida.
Sole, la mia famiglia, terremoti, disastro, distruzione delle città, morte, nessuno con me, fango ovunque, pesci morti, cibo crudo, incontro di altri superstiti, nebbia, resti di città, persone morte.
Lui osserva il disastro, sorriso sulle labbra, grande ombra vicino, Entità nata con la terra, il suo re, ha paura di lui.
Io ho paura di lui.
Suono di tamburi, avanza verso di me, grande stanza, altare, morte, rinascita.
Stupore, speranza.
Improvvisamente entrarono altri esseri, mi presero di peso portandomi in un grande salone che, a differenza delle altre stanze, era riccamente decorato, con bassorilievi che che ricoprivano le pareti, grovigli di figure mostruose ed indistinte. Pensai di pregare Dio, ma ormai avevo dimenticato come fare, cancellato dalla realtà che stavo vivendo.
Cammino verso l’altare, mani e piedi liberi, scelgo il sacrificio, tamburi.
Avanzo, passo dopo passo, mi distendo ed aspetto.
L’essere mi colpisce.
Sguardo serio, immagini dei miei compagni che urlano, provano a scappare, io no, colpo sicuro, morte rapida, tamburi.
Il suono dei tamburi si mischia a quello del mio cuore, ultimi sussulti di vita. Chiudo gli occhi mentre il ferro colpisce.
Buio, calore, pace, morte?
Luce.
Vita.
Buio.
Morte.
Scelta.
Confusione, Dio?
Pianeta Terra.
Scelta.
Luce. Vita. Beatrice.
Riaprii gli occhi. Ogni cosa che osservavo mi era immediatamente chiara. Iniziai a vedere in modo diverso, a pensare in modo diverso, a capire gli Esseri.
Adesso ero come loro.
Francesco Gonella / 2020