Una risata ci salverà

di Chiara Ferretti

Alex si svegliò con il sorriso sulle labbra. Non sapeva di preciso se dipendesse dal sogno della notte prima, uno dei migliori della sua vita, o dalla luce che filtrava dalle persiane, prospettiva di sole. In ogni caso sembravano esserci i presupposti per un’ottima giornata. Continuò a sorridere mentre si vestiva, si lavava i denti (un po’ scomodo ma così piacevole) e, imbracciando la valigetta, usciva di casa per prendere l’autobus.

Un ragazzino sostava sotto la pensilina, imprecando per i pochi minuti di ritardo che lo avevano lasciato a piedi. Alex si avvicinò, lo guardò per qualche secondo e il ragazzo non riuscì a fare a meno di sorridere a sua volta. Appiccicarono un sorriso anche sul volto del signore anziano seduto poco avanti, in disparte, e alla ragazza trafelata con le scarpe slacciate che arrivò poco prima che le porte si chiudessero. Il mondo, improvvisamente, sembrava un posto piacevole dove vivere. Le loro mete, urbane ed usuali, erano ammantate di un sapore nuovo di bellezza.

Sorrise anche l’autista dell’autobus, quasi spaventato dalla carezza di positività che gli arrivò quando il gruppetto, ormai affiatato, salì e gli rivolse un sorriso unico. Svolgeva quel lavoro da quasi vent’anni e non gli era mai capitato di imbattersi in così tanto buonumore. A condizioni normali si sarebbe spaventato o arrabbiato: nei suoi turni sorridevano soltanto i pazzi, i rapinatori e le signore di una certa età che si erano “dimenticate” il biglietto (“Era qua Signor Autista, glielo giuro, guardi che sono una cittadina onesta…”); quel giorno lo sentiva diverso. Sentiva che quello era buonumore purissimo, da prenderne manciate ed ingoiarlo finché non si saziava la voglia di vivere.
Sorrisero le persone che salirono alle fermate successive, salutate in maniera così gioviale. Un ragazzino che non aveva abbastanza soldi per il biglietto fu aiutato a racimolare la somma giusta da tutti i presenti e sorrise forte vedendo che l’autista gli strizzava l’occhio e lo invitava a sedersi, regalandogli la corsa.

L’ondata di sorrisi continuò ovunque i passeggeri si fermarono: ognuno di loro sparpagliava pezzetti di labbra alzate ovunque posasse lo sguardo. La ragazza con le scarpe slacciate passò un sorriso alla segretaria dello stabile dove lavorava come contabile, la quale si preoccupò di trasmetterlo a tutti coloro che entrarono dalle fredde porte di vetro, oggi piene di luce. Il ragazzino lanciò un sorriso ai suoi compagni di scuola, che per un giorno seguirono la lezione senza disturbare, e a tutti i professori della loro classe, che non ebbero voglia di interrogazioni a sorpresa e si mostrarono indulgenti con gli studenti lavativi, sorridenti a loro volta e stranamente vogliosi di imparare. Il signore anziano portò una piccola gioia ai frequentatori abituali del cimitero in cui la moglie riposava da qualche anno, facendoli sentire vivi. La morte era diventata quasi accettabile, la giusta fine di una vita degna e serena. Alex, infine, sorrise all’amico di sempre con cui era andato a pranzo prima del volo che lo avrebbe trasferito per sempre in Germania. L’uomo sorrise a sua volta, sereno ed inconsapevole, la malinconia accantonata per celebrare il ricordo dei bei momenti passati insieme.

Fu così che le spore di quel nuovo modo di vivere si spostarono in altri stati e da lì oltreoceano, fino ad arrivare nei punti più reconditi ed insospettabili del pianeta. Fu un climax di bellezza: dal basso quei sorrisi arrivarono a toccare le corde di capi di stato, alte cariche religiose e generali degli eserciti. Nessuno aveva più voglia di fare la guerra, nessuno aveva voglia di morire per cause futili come le idee. A che servono le idee se si ha la vita, a che serve combattere per quella felicità che si ottiene semplicemente alzando i lati delle labbra?

I giornali, per qualche giorno, furono inondati dalla gioia tangibile di una vita senza brutte notizie. Il mondo era diventato davvero un bel posto in cui stare.

I problemi cominciarono quando il Signor S., sessantanove anni compiuti un paio di giorni prima, cominciò a ghignare. La cassiera del minimarket dove andava di solito gli sorrise, come sempre, mentre prendeva i contanti. L’uomo tentò di rispondere con l’allegria che lo accompagnava ormai da un paio di settimane ma non ci riuscì: al posto di un sorriso caloroso venne fuori un ghigno da maschera teatrale. La cassiera allargò di più gli angoli della bocca: “La vecchiaia comincia a farsi sentire, eh, signor S.?” L’uomo, che fino a qualche minuto prima avrebbe risposto alla battuta con un’affermazione distesa e tranquilla, non riuscì a fare altro che ghignare ancora. Vagamente imbarazzato, anche se ancora felice, prese la spesa e salì in macchina. Al semaforo il guidatore del mezzo accanto al suo gli rivolse un sorriso caloroso. Di nuovo quel ghigno e un vago senso di malessere. Il signor S. si accorse che il luccichio negli occhi dell’altro si era affievolito e, mentre ripartivano, vide l’ombra sinistra di un ghigno stamparsi sul volto dello sconosciuto. Non fece neppure in tempo a pensare che gli venne da ridere: era buffo come i neuroni specchio funzionassero in maniera così immediata, così funestamente perfetta. Senza volerlo e senza accorgersene aveva appiccicato sul volto di un perfetto signor qualsiasi lo stesso ghigno che si era sentito sul volto. Era reale, era tangibile, era incredibilmente divertente. Continuò a ridere per ore anche dopo essere tornato a casa, accolto dalla moglie sorridente che aspettava con ansia il suo ritorno. Dopo qualche secondo lei pure cominciò a ridere, senza neppure sapere perché.

Rise la famiglia dell’uomo del semaforo, colpevole soltanto di aver incrociato uno sguardo con benevolenza. Rise la migliore amica della figlia, infestando di risate anche la sua casa e il suo palazzo. Risero tutti, travolgendo di risate le strade, gli aereoporti, le stazioni. A tutti loro vivere sembrava incredibile e paradossale, una pacchia. Le stesse persone che qualche giorno prima sorridevano gioviali sputacchiavano e si davano grandi pacche sul petto, cercando di frenare l’irrefrenabile. È noto che la risata è ancora più contagiosa del sorriso.

Il mondo fu invaso da risate che toglievano il fiato. Nessuno pensava che un modo di dire così innocente potesse avere un significato funesto finché non sentirono l’aria abbandonare i loro polmoni e i loro cuori scoppiare. Il mondo fu invaso di risate che risuonavano come allarmi, sirene, poi campane a morto. Uccidevano rumorosamente, in pieno giorno e con milioni di testimoni troppo occupati a ridere per preoccuparsi del loro inevitabile destino. Lo spettro del sorriso di pochi giorni prima infestava ancora i loro occhi mentre l’eco sonoro di un mondo meraviglioso si spengeva piano piano, luce di candela.

Mentre gli ultimi uomini sulla terra esalavano i respiri finali del genere umano si accorsero che i vecchi modi di dire avevano ragione, come sempre, e risero ancora più forte a questo pensiero. Poi arrivò il silenzio.

Non fecero in tempo a trovare un motivo, non fecero in tempo a trovare un untore.

Una risata li seppellì tutti.

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